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recensioni dei fans

RECENSIONI DEI VISITATORI

Madman Across The Water
 

Madman across the water

inviate la vostra recensione di un disco di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non cerchiamo critici professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!

 

di Beppe Bonaventura (2004)

Madman Across The Water è secondo me l'apice della produzione di Elton, il disco che raggiunge quasi la perfezione, per la qualità delle canzoni, la produzione, gli arrangiamenti orchestrali, i musicisti che vi suonano e l'omogeneità del tutto. Tumbleweed non è qualitativamente molto lontano ma, se devo indicare "il disco" di Elton John da portare su un'isola deserta, Madman è senza ombra di dubbio quello che scelgo senza esitazioni. Qui Paul Buckmaster e i suoi arrangiamenti orchestrali sono veramente ad un livello irraggiungibile, dopo un paio di album di aggiustamento riescono veramente ad accompagnare ed arricchire i brani in maniera perfetta. I numerosi musicisti impiegati sono tutti di altissimo livello e, insieme ai contributi della Elton John Band classica (Olsson, Murray, Cooper, Johnstone), troviamo musicisti del calibro di Chris Spedding, Herbie Flowers, Rick Wakeman e B.J. Cole, solo per citarne qualcuno; incredibile, qui, persino il modesto Davey Johnstone riesce a brillare (come non gli sarebbe più capitato in seguito) nella splendido finale di Holiday Inn. Le canzoni comprendono alcune tra le più memorabili composizioni del duo John/Taupin, è veramente difficile scegliere le migliori. Tiny Dancer, Levon, Goodbye, Indian Sunset, Holiday Inn e Madman Across The Water fanno veramente parte della produzione migliore, questo è il vero Elton, sicuramente meno commerciale rispetto agli album che sarebbero seguiti, ma di un livello veramente eccezionale. anche tralasciando i fantastici arrangiamenti di Buckmaster, basta ascoltare una semplicissima e breve canzone come Goodbye, praticamente sconosciuta al grande pubblico, per rendersi conto del livello assoluto di questi brani. Elton era veramente al massimo dell'ispirazione, componeva e registrava più album in un anno nelle brevi pause tra un tour e un altro, e anche le cose meno riuscite erano sicuramente buone. Madman fu inciso, per esplicita dichiarazione sua, in brevissimo tempo, tra un tour e l'altro, sotto pressione, soprattutto per problemi contrattuali con la DJM e ciò nonostante il risultato ottenuto è stato fantastico. Le critiche, in generale, non furono molto buone (ad esempio Indian Sunset fu massacrata!) e le vendite inizialmente abbastanza limitate, infatti in Inghilterra non andò oltre il 41° posto. Naturalmente la poca considerazione da parte della critica in generale è rimasta, come per Tumbleweed, e se c'è da citare dei dischi di Elton vengono sempre considerati quelli del periodo successivo come Goodbye Yellow Brick Road. Secondo me Madman Across The Water rimane la vetta della produzione di Elton che in seguito non si sarebbe mai più ripetuto a questi livelli, anche per la svolta per una musica più "commerciale". Non gli do 10 perchè il disco perfetto probabilmente non esiste, ma Madman è quasi la perfezione, il miglior Elton di sempre!

voto (da 0 a 10): 9,7 


Jacopo  (luglio2008)

Di Elton conoscevo veramente poco più che altro il Greatest Hits e i recenti Songs From the West Coast, Peachtree Road e The Captain And The Kid. Mi sono detto: ora devo iniziare a leggere la storia di questo genio, ad ascoltare gli album che l'hanno fatto grande. Vado in un negozio di dischi e vedo questo cd, tutto impolverato, dalla grafica essenziale e dal titolo originale, ricordavo di aver letto che era tra i primi grandi successi, lo compro, vado a casa e l'ascolto. Tutto di un fiato. Perfetto. Incredibile. All'epoca suonavo ancora il piano e ho provato il giro introduttivo di Tiny Dancer all'infinito. Stupendo.
Un pianoforte limpido, puro, perfetto e al tempo stesso così caldo non lo avevo sentito, poi ecco che entra la band, l'ottima band storica e poi ecco gli archi di Buckmaster, e poi ancora i fiati, per non parlare dei timpani di rinforzo ai tamburi della batteria. Gli arrangiamenti orchestrali di Buckmaster in Madman Across The Water sono giustamente rimasti alla storia, il grande Paul con la sua fenomenale orchestra ha fatto un lavoro di fino, senza coprire troppo i suoni della band, che restano giustamente in posizione principale: ecco, la grandezza musicale di questo album risiede nel fatto che è stato raggiunto un equilibrio perfetto in tutte le canzoni, tra la base musicale della band, i cui strumenti sono percettibili nella loro singolarità (compreso il grande basso del compianto Dee Murray), e l'orchestra intesa come insieme che accompagna Elton e i suoi musicisti.
Dopo la piccola ballerina compare un personaggio fondamentale nella storia musicale di Elton, ecco finalmente quel Levon che ha chiamato sfrontatamente suo figlio Jesus solo perchè gli piaceva il nome: Levon, favola metropolitana magnifica, il cui gran testo richiama in gioco il terzo attore di questo dramma dell'uomo pazzo che cammina nell'acqua: Bernie Taupin, la metà musicale di Elton. Il giovane poeta vive, insieme al suo compare musicista, la grande stagione della creatività, partorisce testi su testi, tutti eccellenti. Una nota particolare merita il testo di Indian Sunset: un richiamo alla sua America preferita, più che all'America di Levon questa è l'America che Bernie ha celebrato in Tumbleweed, l'altro capolavoro rock di Elton uscito un anno prima rispetto a Madman. Indian Sunset è la canzone che pone lo storico dubbio, stare con gli Americani, quelli che vincono sempre, quelli forti, ma anche quelli che ammazzano senza pietà, oppure i poveri indiani massacrati dagli Americani che vincono sempre? Il cowboy Bernie non da una risposta scontata a favore dei suoi cwboys, anzi, affronta con profonda commozione il dramma di Cane Giallo e della completa distruzione degli Iroquois.
Insomma ogni tassello di questo puzzle è messo al suo posto, lavoro complicato svolto eccellentemente da Gus Dudgeon, il produttore storico di Elton, il produttore che ha portato al successo Elton e la sua band: in un album pressochè tecnicamente perfetto, chi poteva esserci nella cabina di produzione se non lui?
Infine una considerazione su Elton. Il nostro è in stato di grazia, è evidente, sta sfornando tre album all'anno, e tutti di un livello eccelso. Con Madman,e dopo Tumbleweed, si chiude un ciclo inziato e finito nel giro di pochi anni (si, si chiude il ciclo dato che Honky Chateau è di un Elton diverso da quello di Tumbleweed e Madman), un ciclo che ha visto un Elton immerso in una musica difficile che accompagna testi ermetici, un Elton “intimo”, difficile da ascoltare, difficile da apprezzare, misterioso e chiuso (non sembra che stiamo parlando dell'Elton che dal 73 fino al 1988 ne combinerà di cotte e di crude, musicalmente e personalmente parlando) ma dannnatamente bravo. Elton in quest'album è un orologio svizzero, non si possono muovere appunti. Perfetto. Ma forse questa non era la sua natura, l'estrosità e la creatività sarebbero esplose di li a poco, dopo che questo Elton ci saluta con Goodbye.




Dr. Winston O'Boogie  
dicembre 2007



Tiny Dancer: no avanti adesso trovatemi un difetto in questa canzone! :D PERFETTA SIA COME MUSICA CHE COME TESTO! Si accoppiano alla perfezione! Il testo poi è ben scritto con una bella metrica che forse mai + userà di nuovo, frutto proprio dell'amore per la sua donna....peccato che poi andò a schifio :D


Levon: a me piace tutta tranne il ritornello...non so forse sono l'unico sulla terra ma il ritornello mi....annoia :(

Razor face: molto bella anche questa e l'inizio mi ricorda un pò tiny dancer. Ma alla fine si sa a chi si riferisce con razor face?

Madman across the water: Io la adoro! Testo ermetico e metaforico (oppure insensato va a persona :D). Non di immediato gradimento devo dire ma veramente geniale come pezzo e di grande intensità vocale....vi sembrerà strano ma io ci avrei visto bene a cantarla anche freddy mercury e frank sinatra :alienff: .

Indian sunset : ecco qui comincia la parte mediocre... il testo è bello, la musica per me è ...insensata...cioè sembra che non aveva nulla da metterci...Mi ci sono voluti diversi ascolti per "farmi piacere" questo brano e tutt'ora lo salto mentre sento l'album a volte.

Holiday inn: mi piace ma per me potevano fare di meglio ;)

Rotten peaches: mi piace tanto tutto il brano tranne quando dice "Jesus I'm the one", c'ha quel mezzo farsetto che non mi convince.

All the nasties: perere personale .....la odio......

Goodbye.... bellissima!!! un pò corta forse ma davvero perfetta!

Beh questo è il mio pensiero....voi?


   

di Stefano Orsenigo  (2011)

Ha un che di misterioso questo disco: il titolo forse poetico forse inquietante, sicuramente visionario, e la copertina con la scritta Madman Across the Water cucita su un tessuto jeans non lasciano immaginare nulla circa il contenuto.
Musicalmente, questo terzo atto dell'Elton John "à la" Buckmaster è la diretta evoluzione dei due album precedenti.
Da Elton John proviene il gusto per le orchestrazioni sontuose, che qui perdono ogni pesantezza e si incastonano perfettamente nelle canzoni, non intralciando né il pianoforte né lo splendido lavoro degli altri musicisti, tra cui un Davey Johnstone alla sua prima apparizione con Elton e un Rick Wakeman ospite di lusso, che danno il meglio rispettivamente al mandolino in Holiday Inn e all'organo in Razor Face.
Di Tumbleweed Connection restano i riferimenti all'America e alla sua musica, decisamente più vaghi e sfumati: se Rotten Peaches e All the Nasties si concludono con cori gospel, la grandiosa Indian Sunset dedicata agli ultimi giorni di Geronimo diviene il fiore all'occhiello di un rock spettacolare e fascinoso che riduce al minimo la chitarra elettrica.
Personalmente preferisco la versione originale della title-track, ma aver sostituito gli assoli di chitarra con gli archi ha donato al disco uno stile e un suono compatti e omogenei, al servizio di un talento melodico in stato di grazia, nei due singoli estratti (Tiny Dancer e Levon) come in tutti gli altri brani.
Purtroppo sono solo nove, ma si sa che qualità e quantità non vanno mai a braccetto (Goodbye Yellow Brick Road in questo senso sarà un miracolo).
L'ultima traccia si intitola Goodbye, un addio breve e struggente, come se Elton avesse già deciso di non replicarsi e di cambiare rotta, avvicinandosi alla perfezione e fermandosi a un passo dal manierismo. Molto probabilmente, la "svolta pop" (un termine che non sopporto, ma è giusto per rendere l‘idea) fu dovuta agli scarsi risultati ottenuti nelle classifiche inglesi (fuori dalla Top40 e vita breve): questo è per me il vero mistero, che mi lascia basito.
Certo alcuni testi di Taupin sono tra i suoi più ermetici, in ogni caso negli USA il disco consolidò il successo di Elton in un anno per lui intensissimo (uscirono anche la colonna sonora del film Friends, molto simile a questo album e ancora baciata dal tocco di Buckmaster, e il live 11-17-70).

Voto 9/10


di Max Pollavini  (2012)

Con la pubblicazione di questo disco si chiude, per Elton John, un’epoca fondata su un approccio compositivo, e di arrangiamento, puramente istintivo e privo di qualsivoglia deriva, o tentazione, commerciale. Da molti accomunato a Tumbleweed Connection, Madman Across The Water ha in realtà pochissime affinità con il suo predecessore se non il condividerne, pur a un livello complessivo (seppur infinitesimamente) inferiore, lo status di capolavoro.

E questa (marcata) differenziazione si coglie già nei due, splendenti, brani che aprono l’album. Il suono e le melodie sono più ariose, accattivanti, se vogliamo quasi radiofoniche in quei refrain che si lasciano cantare, o almeno sussurarre. In qualche modo si rimanda più alla ammaliante California, appena scoperta e “vissuta” dagli autori, che allo sporco Tennessee della Guerra Civile. Tiny Dancer è di una leggiadria incantevole, quasi sospesa nella aria: oltre sei minuti che scorrono però rapidissimi, immersi in un arrangiamento pop/country in cui il cristallino suono del pianoforte si coniuga perfettamente con uno stravagante, quanto riuscitissimo, intreccio di sontuose orchestrazioni e steel guitar. La successiva Levon è ancora, se possibile, di livello superiore: si presenta, quasi timida, con una lenta ma efficace intro di pianoforte per svilupparsi progressivamente in un trascinante e favoloso rock, a tinte gospel, grazie all’intervento delle sempre dominanti orchestrazioni, nonché di una più che vivace batteria.

Anche la narrazione di Bernie Taupin, ad esclusione di Indian Sunset, si colloca su un piano decisamente differente. Quando non si lascia attrarre da un eccessivo e (incomprensibile) astrattismo, Bernie descrive non più l’America antica, riflessa dalla cinematografia western e plasmata con la sua immaginazione, ma un’America assai contemporanea. Ecco allora gli Stati Uniti rappresentati dalla sensuale ballerina in blue jeans di Los Angeles (e futura signora Taupin) e, soprattutto, da una serie tipici personaggi/finti eroi, più o meno tutti sconfitti nella loro, disperata quanto vana, ricerca del sogno americano.

Altri brani di spicco sono la title track e Indian Sunset. La prima è ossessiva, al limite dell’inquietante, nel suo prolungato e articolato incedere sostenuto dai violenti archi di Buckmaster. Il quale Buckmaster raggiunge, proprio in questo disco, le sue vette più alte e riuscite, potremmo dire la perfezione: dal punto di vista del mixaggio sonoro è predominante come in Elton John, ma senza mai offuscare gli altri strumenti, anzi valorizzandoli nell’evidente contrasto che si crea tra le sonorità rock della band e le orchestrazione classiche degli archi; per ciò che riguarda l’arrangiamento, invece, è sempre di eccelsa maestosità senza però mai cadere nel troppo cupo o barocco (come in Elton John). Indian Sunset è invece un capolavoro unico nel suo genere, magistralmente prodotto: pianoforte e archi, percussioni e momenti di silenzio, cantato a cappella e parti corali, si alternano e mischiano per creare pathos, per enfatizzare le varie sfumature di sensazioni che il testo vuole comunicare, creando così una sorta di perfetta colonna sonora alla drammatica narrazione dell’annientamento degli indiani Iroquois.

Di ottimo spessore, seppur meno caratterizzate, Razor Face, Rotten Peaches e Holiday Inn, dove la trascinante coda ci consegna una delle rare performance di valore mai realizzate dal chitarrista (qui al mandolino) Davey Johnstone. Un po’ estranea al contesto risulta, invece, All The Nasties, brano assai ben eseguito nella parte strumentale (eccellente la sezione ritmica), ma mai pienamente convincente nelle parti vocali: forzato il canto di Elton, pomposo il coro dei Cantores In Ecclesia.

Il disco si chiude, in modo splendido e accecante, con Elton solo al pianoforte a recitare gli amarissimi versi di Goodbye, un po' richiamando le atmosfere dei brani dei dischi precedenti, quelli che nemmeno sussurri, meritevoli come sono di un ascolto in religioso silenzio. Non era certo nelle intenzioni degli autori ma quell’ “addio” è in qualche modo premonitore di un Elton che non tornerà più.

Voto: 95/100


“Song by Song”

Tiny Dancer 9,3
Levon 9,5
Razor Face 8,6
Madman Across The Water 9,3
Indian Sunset 9,7
Holiday Inn 8,6
Rotten Peache 8,6
All The Nasties 8,0
Goodbye 9,4