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recensioni dei fans

RECENSIONI DEI VISITATORI

HONKY CHATEAU
 

Honky Chateau


inviate la vostra recensione di un disco di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non cerchiamo critici professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!



di Beppe Bonaventura  (aprile 2007)

Honky Chateau, pubblicato nel 1972, è stato ‘album della svolta “commerciale” (in senso buono) di Elton John.  Infatti dopo la serie di album orchestrali, con gli splendidi arrangiamenti di Paul Buckmaster, si è passati a un classico album pop/rock registrato in Francia negli studi del castello di Herouville, che avrebbe ispirato anche il titolo del disco.
E un altro cambiamento sostanziale è la presenza costante in tutti i brani della Elton John band, con Nigel Olsson alla batteria, Dee Murray al basso e Davey Johnstone alle chitarre (e mandolino) al posto della moltitudine di session men che avevano contraddistinto i precedenti album, integrati da una sezione di fiati con dei musicisti francesi e dal violino elettrico di Jean Luc Ponty.
La produzione è sempre di Gus Dudgeon ma il suono risulta sicuramente diverso, molto più pop, più moderno, con un occhio di riguardo alle classifiche, anche se non in manierà così sfacciata come sarebbe successo con il successivo Don’t Shoot Me,  uscito pochi mesi più tardi.
Il risultato è un album molto buono, di grandissimo successo, anche se effettivamente siamo su un livello inferiore a capolavori del primo come Tumbleweed Connection e Madman Across The Water, che rimarranno il top qualitativo nella sua carriera.
L’album contiene anche Rocket Man che si rivelerà come una delle canzoni simbolo per Elton insieme a Your Song, un suo marchio di fabbrica con i famosi versi di Bernie “She packed my bags last night, pre flight, zero hour nine a.m., and I’m gonna be high as a kite by then.”
Altro pezzo notevole è sicuramente la splendida Mona Lisas And Mad Hatters, brano un po’ anomalo rispetto rispetto agli altri contenuti nell’album, molto tranquillo con in evidenza, una volta tanto, Davey Johnstone al mandolino, con il quale si trova sicuramente meglio rispetto alla chitarra elettrica.
Il violino elettrico di Jean Luc Ponty si esalta nella bellissima, ma poco considerata, Amy, altra gemma dell’album, una canzone molto tirata e particolare.
Vengono invece ricordate canzoni come Hercules, abbastanza banalotta,  e due brani come I Think I’m Gonna Kill Myself e Honky Cat ampiamente sfruttati nei concerti live, soprattutto quest’ultimo che si presta a virtuosismi pianistici.
Honky Chateau in definitiva è sicuramente un album riuscito, perfetto nel suo genere, senza particolari punti deboli o particolari vette qualitative, e rappresenta la svolta nella carriera di Elton verso i successo planetario dei anni successivi.
Un album fondamentale nella sua discografia, come quasi tutta la produzione degli anni 70, che rimane sempre a un livello nettamente superiore a quello che seguirà negli anni 80 e 90.

   


di Stefano Orsenigo  (settembre 2011)

Qualcuno oggi sostiene che Elton John somigli a Lucio Dalla, probabilmente a causa dell’identico parrucchino indossato (ma Elton non aveva fatto il trapianto?!); ma già nel 1972, l’Elton barbuto in copertina a Honky Chateau poteva passare per fratello del cantautore bolognese.
Vien da chiedersi perché si scelse una foto così poco “cool” proprio nel periodo in cui Elton iniziava a travestirsi in modo eccentrico, e forse questo prova che l’adeguarsi all’estetica del glam-rock, superandola fino a farne una parodia, fu dovuto più alle insicurezze e fragilità del cantante di fronte alla fama che ad una strategia discografica pianificata a tavolino.
Fatto sta che il periodo d’oro a livello commerciale inizia qui, col primo posto in USA e il secondo in patria; senza svendersi artisticamente, ma grazie a uno stile più rock e meno cantautoriale, con brani ritmati e frizzanti dai testi più leggeri. Chateau è la sala d’incisione, un castello in Francia dove verranno realizzati i due album successivi, Honky è l’honkytonk che consente a Elton di scatenarsi al piano senza orchestrazioni (Dudgeon resta, Buckmaster passa il turno) e con maggior spazio concesso alla chitarra.
Davey Johnstone entra a far parte della band con Dee Murray (basso) e Nigel Olsson (batteria) e anche se preferiamo Caleb Quaye qui fa un ottimo lavoro, in brani dal suono “sporco” come Suzie, Amy e Slave, quest'ultima senza piano e molto blues (ma riappare come bonus track velocizzata e con piano rock and roll: da infarto!).
Tra le perle troviamo poi Honky Cat, sapientemente arrangiata con fiati R&B, e la magnifica Mellow che contiene un notevole assolo elettrico di violino (di Jean-Luc Ponty, ospite di lusso), mentre i brani più ancorati allo stile degli album precedenti come Salvation e Mona Lisas and Mad Hatters, per quanto buoni perdono fascino spogliati degli archi.
Il brano più celebre è Rocket Man, singolo dal ritornello assassino che farà da modello melodico per una bella fetta di future ballate eltoniane: forse oggi non ci si fa più caso, lo stesso Elton nei concerti la deforma e la allunga a dismisura (e forse dovrebbe smetterla, dato che la cosa ha perso spontaneità), eppure resta una canzone pop perfetta; assieme all'ironica (a dispetto del titolo) I think I'm going to kill myself e ai coretti retrò di Hercules anticipa l'atmosfera del successivo album Don't Shoot Me, un po' deliziosamente languida e un po' brillantemente spensierata.
Data la sua natura un po' ibrida, di transizione, gli preferisco i due album precedenti e i due successivi, ma ciò non toglie che Honky Chateau sia tra i migliori di Elton e una fonte di ispirazione per tutti i grandi pianisti rock venuti dopo, da Billy Joel a Joe Jackson a Ben Folds.

Voto 8,5  


di Max Pollavini  (2012)

Ci furono critici che accolsero questo disco come una liberazione, altri che lo bollarono come il Grande Tradimento. Etichettature evidentemente eccessive, per quanto entrambe portatrici di un fondo di verità. Da un lato, infatti, questa è la prima vera prova (lasciando da parte
Empty Sky) senza Buckmaster e i suoi archi, ritenuti da alcuni una sorta di “eccesso di produzione”. Dall’altro, c’è il primo vero ammiccamento al lato commerciale della musica, che era ovvio facesse arrossire i puristi. Personalmente ritengo l’apporto di Buckmaster superlativo e propulsivo per l’Elton dei primi anni Settanta: certo è anche vero che doveva apparire assai strano che un artista che riusciva a stupire il mondo accompagnato, dal vivo, dai soli basso e batteria, una volta in studio sentisse la necessità di “proteggersi” dietro un suono assai pieno e ricco. Per ciò che riguarda la svolta commerciale, che pure indubbiamente c’è, in realtà anch’essa è una mezza verità, non essendo qui così marcata da far gridare allo scandalo, pur un’epoca musicalmente molto rigorosa nella quale barattare le proprie radici per il successo commerciale era considerato un grave peccato (nel 1965 a Bob Dylan bastò imbracciare la chitarra elettrica per procurarsi la “scomunica”).


Ad ogni modo, Honky Chateau perde le orchestrazioni ma non certo il gusto per un suono assai ricco e lussureggiante (non è certo il sound del concerto del Troubadour…) come ben testimonia già il suo brioso brano d’apertura: Honky Cat, il cui irresistibile pianoforte è contornato, non solo dalla fidata ed eccellente sezione ritmica (Olsson/Murray), ma anche da un predominante mandolino e, ancor più, da una imponente sezione fiati in pieno stile New Orleans. Anche il mixaggio, con gli strumenti “in faccia” all’ascoltatore, amplifica questa atmosfera di notevole impatto sonoro. A far compagnia ad Honky Cat, e alla sua atmosfera così profondamente dixie, arrivano Salvation ammantata da coralità gospel/soul (reminiscenza di Tumbleweed Connection) e Slave con il suo mood riflessivo e un incedere tanto lento e docile quanto lo scorrere del Mississippi.

L’atmosfera generale più easy e scanzonata fa definitiva irruzione con I Think I’m Gonna Kill Myself, Hercules e Rocket Man. I primi due, per quanto indiscutibilmente ammiccanti, alla lunga tendono forse al troppo accessibile. Rocket Man, invece, è l’incarnazione perfetta del brano pop (intesa in senso positivo) dove convivono, perfettamente bilanciati, melodia semplice ma raffinata, produzione di elevatissimo impatto, interpretazione vocale che veicola in modo assai convincente sentimenti comuni come la malinconia e la solitudine: sarà la prima mega hit di Elton John. Questi tre brani (ma anche Slave e Honky Cat) mostrano peraltro, per la prima volta nella carriera dell’artista un senso di fretta nel confezionare i brani: le studiatissime e straordinarie linee di uscita delle canzoni di Tumbleweed si trasformano qui in “sfumati”, a volte veramente maldestri e raffazzonati (su tutti quello di I Think I’m Gonna Kill Myself).

Ma i brani di maggior valore sono quelli più legati concettualmente alla produzione precedente, ma costruiti su arrangiamenti assai innovativi (per Elton John): Mellow, immersa in atmosfere soul, tra un intricatissimo pianismo e i virtuosismi del violino elettrico di Jean-Luc Ponty ed Amy, che narra (il tema ricorre) di un amore inappagato per una ragazza con una ruvidezza e una aggressività più tipiche di un Leon Russell che di un Elton John (anche grazie al “violento” apporto del violino elettrico di Ponty).

Il capolavoro è però Mona Lisas And Mad Hatters, riflessione delicata e coinvolgente sull’ammaliante fascino e, contemporaneamente, sulla terribile crudezza di New York City. Elton per lunghi tratti è solo al piano e disegna una melodia fantastica, incredibilmente evocativa, quasi una seconda Talking Old Soldiers. Purtroppo il produttore Dudgeon, forse nell’intento di dotala della medesima ricchezza strumentale che appartiene all’intero album, aggiunge per tutta la seconda parte un invadente mandolino: fuori luogo in un brano newyorkese e terribilmente stonato nell’atmosfera generale del brano.

Un album sicuramente di transizione, verso cosa lo si scoprirà solo dopo, non all’altezza dei precedenti, ma pur sempre molto solido e piacevolissimo all’ascolto.

Voto: 85/100


Song by song:

Honky Cat 8,5
Mellow 8,9
I Think I'm Gonna Kill Myself 7,0
Suzie (Dramas) 8,2
Rocket Man 8,9
Salvation 8,4
Slave 8,4
Amy 8,9
Mona Lisas And Mad Hatters 9,3
Hercules 7,0