logo
indice alfabetico - site map  I  immagini  I  articoli  I  elton in italy  I  testi in italiano  I  musicians & co.  I  concerti  I  discografia
 
forum  I  news   I  biografia  I  early days  I  friends I links  I  aggiornamenti  I  newsletter  I  contatti  I  varie  I  rarità  I  home
recensioni dei fans

RECENSIONI DEI VISITATORI

SONGS FROM THE WEST COAST


ej

inviate la vostra recensione di un disco di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non cerchiamo critici professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!






di
Beppe Bonaventura  (2001)


Dopo anni bui, discograficamente parlando, finalmente il nuovo disco di Elton SONGS FROM THE WEST COAST è forse il prodotto che attendevo ormai da anni, e stavo ormai quasi perdendo la speranza!
Devo dire, che dopo l’ascolto delle prime 6 canzoni comparse un paio di mesi fa su un promo, ero abbastanza deluso; una sola spiccava, Ballad Of The Boy In The Red Shoes, le altre (Original Sin, Dark Diamond, This Train, Love Her Like Me, I Want Love) erano carine, ma nulla più.
Ma le rimanenti canzoni mi hanno fanno ribaltare completamente il giudizio, sembrano arrivare da un altro pianeta!
Pat Leonard, che già aveva mostrato le sue indubbie qualità di produttore in Eldorado, ha fatto il miracolo ed è riuscito ad estrarre da Elton sicuramente tutta la sua potenzialità attuale, bandendo quasi totalmente l’elettronica e agendo con suoni semplici e puliti.
Erano almeno una quindicina d’anni che Elton non realizzava un disco di questo livello e lui stesso, in una recente intervista ha finalmente ammesso che gli album degli anni 90 sicuramente non hanno raggiunto uno standard qualitativo soddisfacente.
Anni di canzoni banali, spesso troppo melassate, e una produzione, quella di Chris Thomas, infarcita di sintetizzatori e suoni artificiosi, che riusciva a distruggere anche i pezzi più validi.
Solo il Gus Dudgeon di Leather Jackets e Ice On Fire era riuscito a fare di peggio.
Suoni probabilmente in linea con le tendenze musicali del tempo, ma è un dato di fatto che il livello qualitativo del pop rock è costantemente in discesa, ormai tutto è stato già fatto e rifatto e, non per niente, chi riesce ancora dire qualche cosa di interessante, spesso si ricollega al passato remoto (anni 60 e 70).
Ed Elton stesso ha sempre dimostrato di saper dare il peggio di sè quando ha cercato di inseguire le tendenze e le mode del momento, facendo l’errore di dimenticare cosa era stato negli anni 70, quando aveva saputo imporre la sua genialità al di fuori di tutti i filoni e le correnti.
Finalmente, questa è la mia impressione, ha trovato un produttore di polso, lui stesso pianista e tastierista,  che sapeva esattamente cosa voleva da Elton e che ha saputo imporsi in sala di registrazione.
Grande merito anche il ritorno di Paul Buckmaster, in cinque brani, e soprattutto di Nigel Olsson alla batteria, che ha ridato alle canzoni un sound tipico.
Il povero Nigel, dopo il richiamo sul palco nel 2000, è ritornato dopo lungo tempo anche su disco; erano anni che aspettava la chiamata (probabilmente avrebbe lavorato anche gratis per essere di nuovo con Elton!) e il suo modo di suonare la batteria è uno di marchi di fabbrica degli anni d'oro.

EMPEROR NEW CLOTHES, incentrata sugli inizi del duo John Taupin, con il suo inizio piano e voce, è fantastica, sembra di ritornare a Tumbleweed ed anche il proseguo con l’entrata del basso e della batteria è assolutamente perfetto: la dimostrazione di come va prodotto Elton, con semplicità e senza fronzoli. Vai avanti così!!!
DARK DIAMOND, dalle cadenze reggae, è un po’ fuori atmosfera con il resto dell’album, è carina e si ricorda soprattutto per gli assoli di armonica inconfondibili di Stevie Wonder.
LOOK MA, NO HANDS è un altro grande pezzo, bello per la sua semplicità e fluidità, una canzone fresca come non ne scriveva da tempo; questo è il filone da seguire per realizzare un album da ricordare.
AMERICAN TRIANGLE, dedicata alla morte violenta del giovane gay Matthew Shepard, inizialmente l'ho trovata troppo rilassata, apparentemente senza grinta; ma con il passare degli ascolti si rivela un grandissimo brano, che personalmente mi provoca una tristezza incredibile.
Una dimostrazione di come, sotto la guida di Leonard, Elton può realizzare dei pezzi lenti di grande livello senza scadere nel risaputo e nella melassa, cosa che in questi anni ci eravamo quasi dimenticati, a parte la grandissima Believe, contenuta in Made In England, album che prometteva grandi aspettative, ma che mi ha subito deluso dopo pochi ascolti.
ORIGINAL SIN, testo interessante, ma la melodia è per i miei gusti troppo sdolcinata, indirizzata a chi in concerto va in estasi per Nikita e soprattutto Sacrifice, che non per niente io detesto!   A moltissimi fan piace moltissimo e anche Elton stesso pare la pensi allo stesso modo, ma secondo me proprio qui emergono parte delle pecche delle ultime produzioni.
BIRDS, un altro grande pezzo che riporta indietro all’Elton del secondo periodo, nei primi anni ’70, si sente però nel sound la mancanza di Nigel alla batteria.   Questa è un’altra vera e caratteristica canzone di Elton, non i solito prodotti buttati li probabilmente senza troppo convinzione.
BALLAD OF THE BOY IN THE RED SHOES, canzone che tratta ancora il tema dell’AIDS, ci riporta indietro, come suoni ed atmosfere, al periodo di Madman.
Ritroviamo gli archi di Paul Buckmaster, che è sempre il miglior arrangiatore orchestrale ad operare nel mondo del rock e probabilmente avrebbe avuto maggior considerazione se il suo nome non fosse stato legato al periodo d’oro di Elton.
Bellissima canzone che forse meritava uno sviluppo temporale maggiore, con un finale più epico.
I WANT LOVE, il primo singolo, abbastanza carina, ha un solo grosso difetto: sembra una produzione di John Lennon, al limite del plagio; anche nell’arrangiamento l’intento è sicuramente quello e non riesco francamente a capire il perché di questa scelta per niente originale.
THE WASTELAND, un rock potente come ormai ce l’eravamo scordato, con il grande Billy Preston all’organo, perfetta nel suo genere; io avrei solo dato ancora più spazio al piano, per un assolo più prolungato ed incisivo, ma è un grande pezzo.
LOVE HER LIKE ME, carina ben realizzata, richiama lo Springsteen di Tunnel Of Love; non aggiunge niente all’album, ma si lascia ascoltare con piacere.
MANSFIELD, una delle tante canzoni in cui Bernie parla dei suoi guai matrimoniali, ad un primissimo ascolto mi aveva lasciato perplesso, ma ora la considero uno dei brani migliori dell’album.  Dopo un inizio un pochino lezioso diventa bellissima con il gran finale orchestrale di Buckmaster, anche qui assolutamente perfetto; una canzone che da sola giustifica l’acquisto di tutto il CD a mio parere!
THIS TRAIN DON’T STOP HERE ANYMORE è un lento che inizialmente sembra un po’ scontato e che richiama in un paio di passaggi Sweet Painted Lady; è però un buon pezzo, che acquista spessore con il passare del tempo.   Le manca qualche cosa per essere una grande canzone, come se Elton non si fosse impegnato più di tanto.

In definitiva il ritorno!
E’ andato ad un passo dal realizzare un grandissimo album, mancava veramente poco, ma queste potrebbero essere le premesse per un ritorno a fasti ormai dimenticati.
E’ la dimostrazione che anche in studio (dal vivo non ho mai avuto dubbi), dopo anni di oblio poteva ritornare a realizzare dei grandi prodotti; era già successo ad altri dinosauri del rock (esempio per tutti Lou Reed) di riuscire a cancellare anni di album mediocri o assolutamente insignificanti con una nuova vena di ispirazione.
Speriamo solo che la pianti di parlare alla stampa di tante cazzate sulla sua vita privata e non, e si concentri di più sulla musica, solo così potrà sperare di avere più considerazione dalla critica musicale.
Grazie Pat Leonard, nessuno mi toglie dalla testa che è lui l’artefice di questa rinascita discografica di Elton!
Infine se devo dare una valutazione gli assegno (come i veri critici!) le stellette: 4 su una scala da 1 a 5






di Max  (2001)


Venticinque anni dopo Blue Moves, una serie di impressionanti alti e bassi nella propria vita artistica e
personale e di lotte drammatiche contro i propri vizi e le proprie debolezze, Elton sembra ora una persona
forse finalmente in pace con la vita e col proprio ritrovato talento. Talento non più imprevedibilmente
schizofrenico come nella prima metà degli anni Settanta, ma ancora vivo, a tratti geniale,  e comunque
sempre in grado di stupire ed emozionare.

Songs From The West Coast è al tempo stesso  classico e moderno, riflessivo e vivace, semplice e
profondo. E’ una fotografia forse un po’ sbiadita ma maledettamente affascinante dell’Elton che fu. E’ un
racconto dell’America che ti presenta i grandi sogni, l’opportunità di “scommettere sulle proprie vite”, che
ti porta ad essere “in cima al mondo”, ma che sa essere crudele e vendicativa, solitaria e piena di
contraddizioni. E’ una storia di suoni che s’ispira al passato più splendete di Elton John, quello di Madman
Across The Water e Tumbleweed Connection, e alla versione migliore dell’attuale country-rock americano
(vedi Ryan Adams). Il suono è semplice e depurato da tecnicismi e finzioni, con pianoforte e voce sempre
lì in prima fila. La batteria di Nigel Olsson, i cori stile anni ’70, le orchestrazioni di Paul Buckmaster sono
come perle nascoste che l’eccellente produzione di Patrick Leonard ha saputo ritrovare.

L’album svaria dal country al blues, dal pop al rock. Raggiunge vette eccellenti in Birds, Wasteland,
Emperor’s New Clothes e Ballad Of The Boy In Red Shoes. “Flirta” con John Lennon nella potente ballata
rock I Want Love e con Burt Bacharach nella malinconica This Train Don’t Stop There Anymore. Sa
essere tragico in American Triangle, felicemente scanzonato in Look Ma No Hands ed evocativo in
Mansfield. E anche i pezzi meno convincenti come Love Her Like Me e Original Sin riescono comunque a
comunicare qualcosa, a regalare un’immagine, un’atmosfera.

Dopo tanto tempo Elton John non è più un fantasma che cerca di impersonificare qualcosa che sia “alla
moda”, o che cerca di essere qualcosa di diverso da se stesso. Guarda il passato, forse con un po’ di
malinconia capisce che il “teenage idol” che ballava Crocodile Rock non tornerà più, ma finalmente
capisce che anche questo Elton può dire qualcosa, può fare della eccellente musica, può raccontare delle
belle storie di vita e di morte,  d’amore e di solitudine. A volte le foto un po’ sbiadite sono quelle che
conserviamo con più passione.

 Valutazione dell’album: ****1/2
   

1) Emperor’s New Clothes *****

2) Dark Diamond ***1/2

3) Look Ma No Hands ****

4) American Triangle ****

5) Original Sin ***

6) Birds *****

7) I Want Love ****1/2

8) Wasteland *****

9) Ballad Of The Boy In Red Shoes *****

10 )Love Her Like Me ***

11) Mansfield ***1/2

12) This Train Don't Stop There Anymore ****1/2





di Beppe Donadio  (2001)

Piccoli brividi. Vuoti d'aria.
'Già sentito, ma dove?'. Chi se ne importa. E' bellissimo.
Non l'ho mai scoperto davvero, quel 'già sentito'.
Il fatto è che almeno sino a Breaking Hearts in Elton John convivono
soluzioni armoniche e melodiche  talmente 'pure' da spingerti a credere di
averle già ascoltate.
Se proprio devo definire la sensazione, direi si tratti di qualcosa di
simile a quella stupida frase da cascamorto '...mi sembra di conoscerti da
sempre...', che è sì un'espressione da cinquantenni al night club, ma che,
se si è innamorati, un fondo di verità ce l'ha.
Arte.
Arte minore, ma pur sempre arte.

'Songs from the West Coast', ovvero la storia di quell'uomo che aspetta per
anni davanti al negozio di dischi, con la certezza che nulla potrà più
accadere.

Provate a tingere Julia Roberts di grigio. vMettetele un paio di occhiali
spessi due dita, un vestitino insignificante da perpetua e un neo peloso
sotto il labbro inferiore. E cercate di convincere il suo pubblico che è
soltanto una svolta nella carriera. E poi chiedete alla critica di parlarne
bene: stupitevi, se volete, se nessuno parla più dei suoi occhi da
cerbiatta, il sorriso dolce, e tutto il resto.

Da Sotheby's Elton John si è venduto molto più dei vestiti.
Se avevi soldi, in quei giorni, si battevano all'asta qualche metro della
sua ispirazione, qualche etto di poesia, e scatole intere di dignità
musicale, persa mortificando il suono del proprio strumento, attorniandosi
di perfetti sconosciuti e giocandosi la credibilità del proprio lavoro nelle
mani di un produttore/hooligan.

Quell'uomo davanti alla vetrina, che aspetta l'album che non verrà, ci è
rimasto male davvero. E si è sentito tradito, come ascoltatore, e come
musicista.
Eppure era lì ogni anno, davanti a quel negozio. E non si è perso nemmeno un
cd.  Anche se si è chiesto spesso il perchè.
Nella sua mente le immagini di Elvis Obeso Presley che si asciuga il sudore
e consegna salviette bagnate nelle mani di deliranti teenagers in lacrime,
nel suo ultimo show.
Frank Sinatra che canta l'ennesima 'My Way' al MSG, alticcio e malfermo.
Per un attimo a quest'uomo è sembrato che 'One Night Only' fosse il triste,
patetico addio di qualcuno che era stato il più grande, e non sapeva salvare
la pelle e la faccia.

E invece.
Piccoli brividi. Vuoti d'aria.

Non grido al capolavoro.

Sento di essere in credito di buona musica da molto tempo.
Voglio pensare che 'Songs from the West Coast' sia un piccolo risarcimento.

Orchestra e strumentisti. E ballads, e pulizia del suono. Ed un pianoforte
acustico.
Quanto è complessa la semplicità.
I piccoli brividi di 'The Emperor' e 'American Triangle'; il lungo,
splendido vuoto d'aria di 'Boy in the Red Shoes'.

A volte ritornano.




di Andrea Sganzerla  (2001)

L’uscita di ogni album di Elton suscita sempre in me (e credo anche a tutti gli altri fans) una grande emozione e gioia.
Ogni volta il piccolo (ma grande dentro) genio di Pinner riesce a stupirmi…
Songs from the west coast è veramente un ottimo album…a differenza dei recenti dischi di Elton dove mi colpivano veramente in ogni cd solo pochi brani l’attesa ci ha premiati.
L’album infatti si ricollega idealmente ai capolavori del passato.
Si torna all’elton vecchia maniera… mancano solo il compianto Dee e il mitico Ray Cooper (ma qualcuno sa che fine ha fatto?).
La prima cosa che ho notato del disco sono stati i fantastici coretti…
Una volta in una vecchia intervista George Martin (ex produttore dei Beatles) dichiarò che gli accompagnamenti vocali della band di elton sono i migliori dopo quelli dei Beatles.
Certo questi paragoni e affermazioni trovano il tempo che trovano se le faccio io da fan… ma se certe cose le dice G. Martin possiamo crederci!
Gli arrangiamenti volutamente scarni son perfetti!!
Niente tastieracce o l’odiosa batteria di Olle Romo (finta che rovinò un album molto bello come The One).
Anche il bravissimo C. Morgan era un batterista tanto grintoso dal vivo (è veramente molto bravo) ma molto insignificante da studio.. Sembrava un computer e non utilizzava mai i piatti!
Inoltre come in Made in England si sente il mitico P.Buckmaster…
Ma perchè prima ho citato i Beatles….perché il singolo è molto Beatles… Ma avete visto chi suona il mitico B3? Il grande Billy Preston che suonava con i Beatles (e ha suonato con Rolling Stones, E. Clapton ecc.).
Pensate che un collezionista dei Beatles (che come tutti sottovaluta Elton..) mi ha telefonato a casa… era rimasto colpito… stava guidando e ha sentito il singolo! Mi ha chiesto se era Elton o se era tornato John Lennon con G.Harrison…
Infine una citazione per il bassista: Paul Bushnell
Ha fatto veramente un bel lavoro lo preferisco di gran lunga a Bob Birch (che da studio secondo me è troppo lineare e poco passionale).

Ma passiamo alla descrizione dei brani…
1. La prima canzone mi piace da morire.. si incomincia con il mitico pianoforte!!! e poi la stupenda voce di Elton… è un brano che si apre in sordina con i mitici coretti e con il basso molto 70 (Che sia un Fender?) e che si conclude con un grintoso yeah di Elton che sembra sottolineare e trasmetterci l’energia del grande Elton.
Si riconosce subito il mitico Nigel alla batteria è inconfondibile… soprattutto nella parte di brano in cui Elton fraseggia al piano. Voto ****
Ottimo il basso e adoro gli arrangiamenti distanti ma molto influenti con dei fiati molto retrò.
2. Il secondo brano è il più strano dell’album.
Secondo me non c’entra tantissimo col resto del CD.  La prima volta che l’ho ascoltato non mi piaceva per niente.  Lo trovavo smonato.  Ora mi piace anche questo.  L’armonica di Wonder è deliziosa un po’ meno secondo me il suo lavoro al Clavinet.
Il ritornello è tipico di altri brani di Elton.
Piacevole ma non è un capolavoro. Comunque gradisco sempre gli interventi di S. Wonder peccato non si senta la sua voce. (anche se ero stufo di duetti!)  **
3. Il terzo brano mi piace da morire… dopo i 2 primi brani introduttivi qui si incomincia alla grande… Anche qui si parte col piano ma poi piano piano si decolla.  Un brano delizioso.  I cori qui mi piacciono un sacco…
Mi piace molto anche la chitarra elettrica di Davey che dà grinta a tutto il pezzo.. deliziosa anche l’acustica e la voce di Elton quando dice touch!
Meravigliosa per i coretti mi trasporta molto e mi dà un senso di gioia.  Anche qui inconfondibile Nigel mentre Elton suona il piano a metà del brano.
Un plauso anche all’organetto di Leonard!  ****
4. Il brano più triste e toccante del disco.
L’adoro… Mi fa venire la pelle d’oca ogni volta che l’ascolto.  Stupendo l’attacco di batteria semplicissimo ma mitico.  La so a memoria…è già un classico!
Chi non canticchia il ritornello… molto bella la chitarra stile Beatles.  Adoro questa canzone da ascoltare nei giorni di pioggia o dopo un due di picche  (quindi personalmente l’ascolterò spesso).
Secondo me è uno dei capolavori del disco. *****
5. Un brano che qualcuno ha trovato mieloso… ma a me piace molto.  Adoro le canzoni semplici. Questa è essenziale; e ha un ritornello bellissimo.
Secondo me Elton l’ha cantata alla grande! E' il brano più dolce del disco! Per chi ama l’Elton alla Little Jeannie!  ****
6.  Birds: Un brano che non ti aspetti in un disco del 2001.
Mi sembra di essere tornato all’Elton del ’72.  Molto bella…poi ti frega…ti aspetti una mega batteria che non arriva mai!
Mi piace per l’atmosfera che crea..molto americana!  Un bel brano al quale però do solo un     *** ½.
7. Son tornati i fab five (includo oltre ai 4 di Liverpool anche il 5 di Pinner). Elton con questo brano dimostra ancora una volta di essere l’unico grande erede dei Beatles.
Mi ricorda la Beatles Anthology..  i coretti però non sono alla Beatles ma alla Nigel, Dee, Davey!
Stupendo Billy Preston che mi fa suonare con quel suono… molto malinconica!!!
Mi piace perché mi fa pensare al grande Lennon e lo vedo come un ulteriore tributo al compianto amico John.  ****1/2
8. Un brano esplosivo… mi ricorda l’Elton in Tower Of Song di L. Cohen o l’ Elton di Caribou…!!
Ma non mi ricorda per niente BB King!! (avevo letto questo commento, mi spiace dire questo ma non è assolutamente un blues alla BB King!!!).
Intanto ringrazio Elton per aver menzionato due grandi bluesmen e in particolare il fantastico Muddy Waters!  Un sentito omaggio a questo genere ma in chiave potente e energica! Fantastico e mitico il piano e pure l’organo!  Il brano più grintoso del cd!  ****
9. Il capolavoro indiscusso (secondo me del cd!).
Mi ricorda l’Elton di Madman!  Ha ragione il mitico Beppe!!  Il brano poteva durare di più!!  Fantastica per cori, arrangiamento orchestrale..  bellissima la chitarra acustica e la batteria l’adoro e la canto sempre…  un argomento tragico narrato in chiave originale!!  è questo l’Elton che vogliamo!!! ***********
10. Bellissima da ascoltare sulla macchina cabrio (e chi diavolo la possiede?).  Purtroppo non ho più la mia vecchia scassata cinquecento… mi ricorda la West Coast… (ossia me la fa immaginare non l’ho mai vista!!)
Mitici i coretti e il piano.  Bella l’elettrica!!  Deliziosa da ascoltare bella alta finchè i vicini lo consentono!  ****
11. Subito non capivo questo brano.. all’inizio sembra una canzoncina poi va in crescendo! Ora l’adoro soprattutto la PARTE FINALE CON I CORETTI E L’ARRANGIAMENTO!  Mi fa sognare nella parte finale e cantare… Anche qui sembra di avere il mitico tiretto ai cori di Don’t shot me (le voci a volte mi ricordano i cori di Teeneage Idol..) (solo in certi passaggi).
Bella la guitar americana… Bellissimo brano che ci dimostra la bravura di Buckmaster.
12. Bellissimo finale del disco (la cui unica pecca è quella di non contenere un vero brano rock all’altezza!!: è da anni che Elton non scrive una grande canzone rock!!! però questa volta non me la sento di fargli critiche!!) Deliziosa …anche se Elton può scriverne a raffica di queste canzoni. Bello il ritornello!!!





di
Dario Di Bruni   2001)


Neanche il più ottimista dei fans si sarebbe potuto aspettare un tale lavoro da Elton. The Big Picture é lontano anni luce.   SFTWC é il vero ritorno di Captain Fantastic (del suo grande piano-playing) e del Brown Dirt Cowboy.   Deludente in The Big Picture, Bernie é tornato con testi veramente accattivanti e grintosi.   Il sound, la registrazione della voce e la produzione in generale rappresentano quello che desideravo ascoltare da anni.   E' bellissimo ascoltare l'avvicendarsi di due ottimi batteristi con stili molto diversi fra loro.   E anche Paul Bushnell é ben inserito nel contesto. Anche se la sezione ritmica formata da Nigel Olsson e Bob Birch é realmente invidiabile (basta ascoltare qualcosa tipo Birds o This Train dal vivo).   Bellissima e incisiva la voce di Elton, che ha raggiunto un'elevata finezza e profondità interpretativa.   Da sottolineare poi il ritorno dei grandi cori, come i vecchi tempi.   Entusiasmanti!    Il brano introduttivo é semplicemente splendido, le liriche originali e ispirate di Bernie sono espresse al meglio dalla musica ("we flew by our sits and by the seat of our pants in the state of illusion, in the nation of chance" oppure "seeing only the good through the holes in our shoes"). Per non parlare del chorus che recita "we refused to admit that we wore this disguise".   Red Shoes é realmente un piccolo capolavoro. Come lo stesso Elton ha detto, é molto bello il contrasto fra la rabbia, la paura e la disperazione del testo, e la dolcezza della musica, che entra nel contesto con un voluto distacco. Il piano ne esalta la drammaticità, la batteria sembra seguire il respiro del giovane dancer.   E la scrittura degli archi ci regala un altro grande ritorno: quello del mitico Paul Buckmaster. Mansfield é tra le mie preferite, meravigliosa nei tre cambi di tonalità, nel finale da brivido che trascina via con sè...e poi il testo, così poetico! ("Your naked shadow looking ten feet tall, like a wild pony dancing on the wall").   Anche I Want Love, che all'inizio avevo catalogato come un semplice brano commerciale, é tutt'altro che semplice e scontato...ottima anche qui la sezione ritmica.   Finalmente Elton ha voluto spaziare anche in altri generi musicali donando all'album sonorità varie (e Wasteland é un grande r'n'b, avrebbe potuto allungarlo nel finale con qualche assolo di piano come lui sa fare, quando vuole).   Birds é un altro freschissimo momento dell'album.    Non mi soffermo su ogni singolo brano, concludo dicendo che avrei tolto l'armonica di Stevie Wonder lasciando spazio alla chitarra in Dark Diamond.   L'avrei reso dai sapori country.   E avrei sostituito Love Her Like Me con The North Star, brano che, secondo me, stava benissimo nel contesto dell'album. American Triangle non é brutta, anzi c'é un "bridge" molto emozionante e commovente.    Ma é più lenta della versione solo piano che avevamo conosciuto e, forse per questo, si perde un po', nell'interpretazione vocale, l'intensità e la drammaticità che il brano vuole esprimere.    Molto bella invece nella versione che Elton propone dal vivo con la sua band, con la quale si esprime al meglio.   Per il resto cosa dire? "We are crazy, wild and running" e continueremo ad esserlo.

Lettera ad una persona sensibile

Carissimo,
è ormai diverso tempo che prendendomi per mano mi porta a scoprire luoghi dove ogni esperienza, diventa un ricordo indelebile dei bei momenti che trascorriamo assieme, e allo stesso tempo, un’arma vincente per attraversare con meno insicurezze questo grande “campo minato” che qualcuno chiama vita.
Questa volta però, le chiedo di fare un’eccezione alla sua routine… Le chiedo di sedersi qua, accanto a me, e lasciare che sia io a prendere in mano il timone del grande veliero con il quale siamo soliti viaggiare nella storia. Stia tranquillo, sono un giovane con la testa sulle spalle… rispetto tutti i limiti di velocità.
Allora si parte…
La porterò con me, in un posto in cui è probabile che sia passato molte volte, ma senza farvi sosta. Un posto fatto di note ed emozioni che, da più di trent’anni, scorrono veloci sull’interminabile tastiera di un pianoforte nero gran coda, regalando sogni, gioia, conforto ed anche qualche ambizione.
Eccoci arrivati…
L’intenso colore del grande sole è l’unico a contrastare il blu che questa mattina dipinge il cielo della California. Si, ha capito bene… Ci troviamo a Los Angeles! Spiagge bianche, ville bellissime (le consiglio di approfittare di qualche occasione locale per la sua leggendaria villa in campagna) e bikini… tanti bikini… Ma si ricordi che il nostro è un viaggio musicale, o meglio, un viaggio alla scoperta di Songs From The West Coast.
Una volta arrivati in una delle sale di registrazioni degli immensi Sony Studios, e subito i miei occhi si riempiono di stupore e gioia allo stesso tempo… Due poltrone di pelle nera (per l’altro comodissime) circondate da un pianoforte a coda, una chitarra acustica, una chitarra elettrica, una batteria, un basso, e una volta comodi… la musica partì.
____________________________________________________________________________________ 

Arrivano le prime note della Canzone che inaugura il disco, The Emperor’s New Clothes. Arrivano subito le prime scariche di adrenalina… Il sound è semplice ed intriso di un atmosfera che lo rende molto West Coast! Niente super arrangiamenti, solo una chitarra, un piano, una batteria ed un basso! Si, forse questa è proprio la canzone che l’artista usa per redimersi nei confronti delle sue ultime produzioni, in cui si era agiato un po’ troppo nello sfarzo delle sue vesti da imperatore, ma poi se ne rende conto e sente il bisogno di un cambiamento…

And the tears never came
They just stayed in our eyes
We refused to admit that we wore this disguise

Era tempo che un nuovo disco non riempisse i miei occhi di lacrime… Una sensazione troppo strana da descrivere, ero contento… ero contento per me, per la gente, per Elton John, questa avevamo in mano qualcosa di magico.
____________________________________________________________________________________ 

Arriva con grande impeto l’unica canzone a differì un pochino da quello che è il sound del disco, Dark Diamond si fa avanti con un ritmo Funky/Soul che può veramente travolgere, specialmente nei piccoli rif suonati dall’armonica di Stevie Wonder… Già da dopo la seconda canzone, ci si rende conto della bellezza dei testi in cui è molto facile immedesimarsi!
____________________________________________________________________________________ 

Dopo questa divagazione, si torna al nostro West Coast Sound con Look Ma, No Hands, canzone in cui il cantante, raccontando le sue mille imprese chiede a sua madre “mamma, non sei orgogliosa di me”? Il ritmo è incalzante e si iniziano anche a sentire

Didn’t I turn out, didn’t I turn out to be
Everything you wanted Ma
Ain’t you proud of me

_____________________________________________________________________________________

Il mood si fa molto più serio con la Struggente American Triangle dedicata al giovane Matthew Shepard ucciso brutalmente per colpa della sua omosessualità.

See two coyotes running down a deer
Hate what we don’t understand

E’ un testo che invita sicuramente a riflettere… La musica è affascinante ma la cosa che colpisce di più, è la profonda interpretazione vocale di Elton che riesce a trasmettere in pieno, ciò che sente!
____________________________________________________________________________________ 

Le emozioni continuano a scorrere con Original Sin, una dolcissima ballata che racconta di una storia d’amore ormai finita dove tra gioia e dolore si riflette su di un sentimento che ancora non ha cessato di ardere.

I can’t eat, can’t sleep
Still I hunger for you when you look at me
That face, those eyes
All the sinful pleasures deep inside

L’unica canzone del disco a non avere un introduzione pianistica, Original Sin è sicuramente uno di quei brani ai quali ci si abbandona per farsi cullare dalla sua dolcezza.
____________________________________________________________________________________ 

L’atmosfera viene rotta dalla movimentata Birds che si impone con il suo sound Country ed il suo andamento martellante! Non rimane nascosto il suo punto forte, un testo molto bello.

How come birds
Don’t fall from the sky when they die?
How come birds
Always look for a quiet place to hide
These words
Can’t explain what I feel inside?
Like birds I need a quiet place to hide

____________________________________________________________________________________
Il discorso di una persona che ha trovato nell’amore solo delusioni, rabbie e dolore, è il tema principale di I Want Love. Il sound è senza dubbio targato Liverpool e lascia ricordare con nostalgia una musica che non morirà mai… quella dei Beatles.

I want love but it’s impossible
A man like me’s so irresponsible
A man like me is dead in places
Other men feel liberated

Questa è la canzone che sento più mia in assoluto… quindi non posso che apprezzarla, specialmente nel testo.
____________________________________________________________________________________ 

Con The Wasteland torna nel disco l’aggressività di un brano Rock/Blues che si capisce addirittura da prima che inizi la canzone!!! Il testo è molto bello e purtroppo, anche molto attuale…

Some days I think it’s all a dream
The things I’ve done, the places that I’ve been
This life of mine seemed surreal at times
Wasted days and nights in someone else’s mind

Molto trascinanti l’assolo di piano nella metà del brano e la coda. La voce di Elton equalizzata con un riverbero molto metallico contribuisce a rendere il brano molto accattivante!
____________________________________________________________________________________ 

Ecco arrivare la gemma dell’ album, The Ballad Of The Boy In The Red Shoes. Una ballata di struttura imponente e di rara bellezza. Perfetto il connubio tra parole e musica che riesce a trasmettere in pieno, il messaggio di condanna nei confronti del governo Americano di Ronald Regan che, a causa della propria ignoranza diede attenzione a l’alba della malattia del secolo, L’AIDS. La canzone è incentrata quindi sulla storia di un ballerino che, malato,  ricorda i suoi tempi d’oro sulla scena mondiale e vorrebbe tornare ad indossare le sue famose scarpette rosse per l’ultima volta, ma poi consapevole di non poterle più calzare, prega affinché qualcuno le porti via da lui…

Put them in a box somewhere
Put them in a drawer
Take my red shoes
I can’t wear them anymore

Le emozioni che sa infondere questa canzone sono molto intense e sicuramente accentuate dai bellissimi cori e l’assolo di mandolino suonato da Davey.
____________________________________________________________________________________ 

Torniamo con i piedi per terra con Love Her Like Me, brano molto interessante. Personalmente trovo fantastica la voce di Elton nelle strofe che con i suoi fantastici toni molto bassi riesce a renderle accattivanti e molto “sbarazzine”. Bella l’apertura sul ritornello anche se un po’ è la cosa che meno ci si aspetta!!!
____________________________________________________________________________________ 

Ci prepariamo al gran finale!!! Mansfield, un brano meraviglioso che non conosce di certo il significato della parola monotonia. Sinceramente non riesco a capire come molta gente lo abbia snobbato nei primi ascolti. Anche questa canzone è incentrata sull’amore, più esattamente sul ricordo di un amore.

We were crazy, wild and running
Blind to the change to come
In that little house on Mansfield
We’d wake at the break of dawn
In an Indian summer gone

 Il suo ritmo molto incalzante e pieno di cambiamenti che si mescolano per un finale mozzafiato.
____________________________________________________________________________________

A chiudere uno dei più bei dischi di Elton John da 15 anni a questa parte è un brano intitolato This Train Don’t Stop There Anymore. Canzone intensa di significato che riprende lo stile della produzione più pregiata di Elton John. Molti i riferimenti all’album Goodbye Yellow Brick Road che ha donato ad Elton l’ispirazione per un andamento alla Sweet Painted Lady. Oltre ad avere un significato tutto suo, Elton usa la canzone come rasserenamento per noi fans: “Non vi preoccupate, questo treno continuerà ad andare avanti su questi binari, senza più fermarsi in stazioni che non appartengono al mio modo di esprimermi e di regalarvi emozioni”


Scritta da Giorgio Onorato Aquilani
Dedicata a: Prof.Giuseppe Mancini




di Giorgia Turnone  (gennaio 2010)


40 (+1) anni d’ispirazione -
2001: DUE FENICI RISORTE

Lettera a due vecchi amici:

“Mi avevano detto che ormai Elton John non era più un granchè. Che non poteva più ritornare come prima.
Mi avevano detto che i testi di Bernie Taupin non erano poi così geniali.
Mi avevano detto che la vostra è stata solo fortuna.
Mi avevano detto che non eravate all’altezza dei Beatles.
Mi avevano detto che non eravate geniali.

.........

Mi avevano detto che se la musica si era commercializzata era solo per colpa vostra...
Mi avevano detto che, comunque andasse a finire, avevate fatto qualcosa di sbagliato...
Mi avevano detto che Taupin doveva parlare di più, quando stava zitto...
Mi avevano detto che John doveva parlare di meno, quando parlava...
Mi avevano detto che Elton doveva fare 3 ore di concerto quando ne faceva 2...
Mi avevano detto che doveva essere più altruista dando spazio ai giovani…
Mi avevano detto che le liriche di Bernie erano “indigeste”…
Mi avevano detto che li pianista doveva cambiare paroliere…
Mi avevano detto che aspettarvi era da matti…

.........

Mi avevano detto che, cavolo, quand'è che se ne vanno in pensione?
Mi avevano detto che non avevate più voglia
Mi avevano detto che mentivate quando dicevate di averla...
Mi avevano detto che nel 2000 non avreste pubblicato alcun disco in studio…
Mi avevano detto che… dovevo smetterla di crederci…
Ma su Songs From The West Coast… bè, su questo album non dissero niente, cavolo…”.

Ai piedi di Elton John e Bernie Taupin. 4 stelle e, se possibile, ci aggiungo un mezzo. Disco eccellente, come non speravamo più di vederne. Poco meno di 20 secondi per verificare quanto la personalità, nel mondo della musica, resti un elemento distintivo per distinguere un bravo cantante da una geniale rockstar. La fotografia di SFTWC è tutta nell’abisso di un confronto con la musica moderna. 20 secondi, dicevo. Sì, giusto il tempo di sentire l’intro pianistica, così simile a quella del primo Elton. Mi chiedo “com’è possibile? E’ proprio lui!”. The Emperor’s New Clothes è uno di quei brani che ti va volare con la mente e richiama l’atmosfera “tumbleweediana”. E se non è un capolavoro questo… erano anni, almeno una 20ina, che il Nostro non si cimentava in qualcosa del genere. Siamo al secondo pezzo e questo si stacca un po’ dal motivo conduttore di tutto il brano, “Dark Diamond” ricorda stilisticamente un funky/soul che non può lasciare indifferente alcun ascoltatore (forse solo quelli di D’Alessio o Negramaro, ma questa è un’altra storia….). Si ode, inconfondibile, l’armonica del grande Wonder, e questo non può che confermare l’ottima riuscita della canzone. Il cui testo, insieme al primo, lascia trasparire l’ottima vena di un rtrovato Taupin, a dimostrazione del fatto che, ancora una volta (ma quante volte lo dovrò dire???), quando il paroliere torna ai suoi livelli (indiscutibilmente elevati), anche la musica di Elton si trasforma. “Look Ma, no Hands” riprende il filo conduttore dell’album, con un sound molto “West Coast”. Splendida in ogni sua nota, con quel ritornello che ti fa ballare al primo ascolto… un altro capolavoro, e siamo solo al 3° brano! Il testo tratta del cantante che chiede a sua madre se è fiera di suo figlio, dopo che questi ha realizzato una miriade di imprese da raccontare. Insomma, una grandissima canzone. Matthew Shepard era un giovane ucciso brutalmente perché omosessuale, lasciato moribondo legato ad uno steccato come un inquietante spaventapasseri. Questa è la terribile vicenda raccontata in “American Traingle”. Elton, che sicuramente sente in maniera particolare questo brano, ha una profondià vocale che, ormai, si diceva “fosse andata”. L’interpretazione del Nostro è da pelle d’oca, la sua musica affascina ed inquieta allo stesso tempo. Il passaggio “Somewhere that road forks up ahead to ignorance and innocence. Three lives drift on different winds, two lives ruined, once life spent” fa venire I brividi. Il testo, ma che lo dico a fare, risulta essere uno dei migliori scritti da Bernie Taupin. Quindi, musicalmente un bel 9,8, ma il voto scenderebbe globalmente senza il meraviglioso testo. Un’ennesima dimostrazione di come la melodia di John e le parole di Taupin si fondino perfettamente. Solo loro riescono a creare un’atmosfera così. A proposito di atmosfere, “Original Sin” ne crea una tutta nuova, e si basa sull’amore. E’ il pezzo, se vogliamo, meno impegnativo dell’album (ma non scende sotto l’8), il testo è dolcissimo che va a completare una ballata sicuramente ben riuscita, come non se ne vedevano da anni. Il brano tratta di una storia d’amore finita in malo modo, e il (la) protagonista riflette sul suo reale sentimento, che non cessa di esistere, che non è morto con la relazione. Per la cronaca, è la sola intro priva di pianoforte, ma si lascia ascoltare benissimo. Lo scenario “cullante” viene sovrastato dalla frizzante “Birds”. Andamento “country” e ritmo assai movimentato, in questo Elton ha fatto un ottimo lavoro. Così come il suo paroliere, che ha scritto delle parole molto belle per fare da cornice a questo pezzo riuscito ottimamente. “I Want Love” potrebbe parlare della situazione passata del pianista di Pinner, o di quella di Bernie, che ha perso fiducia nell’amore dopo aver provato solo rammarico, delusioni e rabbia (con questo sono 3 i divorzi) sposando questo sentimento. La musica richiama un’atmosfera Lennoniana ai limiti del plagio, ma, non me ne vogliano i fans dei Beatles, Elton ha qualcosa in più dei ragazzi di Liverpool… il brano è diventato subito una hit, molto orecchiabile ma che lascia intravedere la ritrovata ispirazione del duo che, in passato, non conosceva il secondo posto. “The Wasteland” tratta la vicenda del geniale bluesman Robert Johnson, il quale, leggenda dice, pare avesse stipulato un patto con il diavolo barattando la sua anima con un’abilità chitarristica fuori da ogni termine di paragone. Grande testo, musica azzeccatissima, è uno dei brani portanti dell’album, a mio avviso, aggressivo e graffiante, dal sound “rock”. La voce di Elton John mai così in forma negli ultimi due decenni. Ma se vogliamo trattare l’ottima fusione tra testo e musica, non possiamo che apprezzare e splellarci le mani per applaudire il capolavoro assoluto che è “Ballad Of The Boy In The Red Shoes” . Maestosa, imponente, strepitosa. Le parole scritte da Taupin condannano l’ignoranza del governo americano retto da Ronald Reagan, che prese sottogamba l’allora nascente problema dell’AIDS. La vicenda parla di un ballerino, appunto, malato che vorrebbe tornare a fare ciò che ama… cioè ballare. Ma è conscio che la sua vita sta per terminare sotto i colpi di un male incurabile… e prega che qualcuno indossi le sue amate scarpette rosse al suo posto. L’atmosfera di condanna si rompe con “Love Her Like Me”, brano ben strutturato, interessante e il cui testo si adatta perfettamente alla voce di John, che come sempre riesce a dare emozioni indescrivibili. Un 8,5 non glielo toglie nessuno. Forse, questo, è il vero capolavoro dell’album, “Mansfield”. Mozzafiato, davvero, una canzone splendida e riuscitissima, il pianoforte di Elton John ti catapulta all’interno della canzone e la voce della rockstar è cullante come poche volte. A 25 anni di distanza da “Blue Moves”, Bernie Taupin racconta la fine del suo 3° matrimonio sotto i versi di una canzone. Il risultato è incredibile! “This Train Don’t Stop There Anymore” chiude l’album. E’ un pezzo, questo, che richiama particolarmente “Sweet Painted Lady”, splendido brano (dimenticato dal pubblico, indimenticato dai fans) di GYBR. Molto riflessivo il testo, che tratta delle vicissitudini della vita di Elton John, anche il videoclip è particolare. Nel pianista si ri-intravede tutta l’ispirazione che sembrava volata via con il vento e quella genialità pianistica che nessuno potrà togliergli. Nessuno, neanche se stipulasse il patto con il diavolo.

Grande merito per la riuscita dell’album va, oltre che al mitico produttore Pat Leonard, anche al paroliere Bernie Taupin, per cui, si è capito, provo un’ammirazione particolare. Senza i suoi testi, la produzione di Elton sarebbe stata per forza di cose meno ispirata e lo stesso Genio di Pinner ci tiene a ricordare come la sua carriera, priva delle splendide parole dell’amico-collega, sarebbe stata diversa. Molto diversa. Parecchie, forse troppe, persone interpretano questa mia osservazione come una presa di posizione, e tendono a sminuire gli enormi meriti del paroliere. Boh. Secondo me, se un Genio è affiancato da un secondo Genio, tutto non può che essere migliore. Invece, pare che questo secondo Genio sia di impaccio. O scomodo.

Mi accingo a concludere la recensione, quando una lettera scivola sotto la porta della camera. Chi scrive sono “due vecchi amici”.

“This Train Don’t Stop There Anymore… We’re Still Standing !!”.

Bè, più chiaro di così…

   



di Jack Pinball   2012


Songs From The West Coast: l'Eterno Ritorno.
****1/2

Di leggende sulla fine del millennio, ne giravano molte. I più fantasiosi dicevano di nuovi ordini mondiali che sarebbero di lì a poco sorti. Al di là delle fesserie, una piccola grande palingenesi, in realtà, c'è stata. Il finire del millennio si è portato via un artista che era presente sulle scene mondiali da più o meno un ventennio. Si tratta di Elton John. Ma come, direte voi, Elton John andava in giro da molto più che venti anni e la fine del millennio non se l'è mica portato via, visto che continua a girare il mondo col suo pianoforte e a riempire le cronache un giorno sì e l'altro pure. Ma l'Elton che ascoltavamo da vent'anni, fortunatamente, oggi non c'è più. Non c'è più perché il pianista inglese, che nella seconda metà degli anni Novanta era sprofondato in un baratro di creatività, nella stanchezza artistica peggiore che avesse mai attraversato, un giorno si incontra con Bernie Taupin, il cowboy inglese fissato con l'America che lo accompagna fin dagli esordi e prende, insieme a quest'ultimo, una scelta fondamentale. I due tracciano una linea nella sabbia. Da una parte decidono di lasciare tutto quel che erano stati negli ultimi venti anni: dischi scritti quasi per forza. Sonorità che non gli appartenevano. Lavori talmente elaborati, da risultare in qualche modo finti. Lavori che non avevano nulla della spontaneità artistica trasmessa dai primi esercizi di due giovani scrittori di musica e parole che avevano risposto ad un annuncio sul giornale, più di trent'anni prima. Basta. Torniamo a far musica solo per il piacere di farla. Musica che debba piacere a noi, prima che al largo consumo dei fans. Musica che in un certo qual modo si collochi come necessaria prosecuzione dei nostri classici più belli.

Così nasce Songs From The West Coast (senza dimenticare l'incidenza dell'ascolto di Heartbreakers di Ryan Adams). "A volte, per andare avanti, bisogna guardarsi dietro", dice Elton all'inizio del documentario di The Union. E se quest'ultimo, splendido, disco rappresenta il contatto col passato, con Leon Russell, Songs From The West Coast rappresenta la sterzata verso le radici della musica di Elton. Verso il pianoforte. Lontano dall'elettronica. Verso melodie semplici, dirette. Verso canzoni riflessive, di livello.

Viene chiamato Patrick Leonard, responsabile della buona prova di El Dorado. Non un produttore root. Non un Burnett. Ma Leonard, che sicuramente risulta adeguato per il ruolo: quello di produrre un album pop con una certa dignità artistica. Un album pop nel senso più bello del termine. E proprio nelle canzoni pop, Leonard non delude e centra il risultato. Songs From The West Coast è un catalogo delle anime di Elton. C'è (quasi) tutta la sua anima. C'è il formidabile scrittore di ballad romantiche. C'è il ragazzino inglese che guardava Roy Rogers alla TV e che fantasticava sulla musica tradizionale americana. C'è il soft-rock tipicamente britannico del quale Elton non è mai stato considerato un padre nobile: ruolo che, tuttavia, gli spetterebbe eccome.
L'album vede la collaborazione di musicisti di qualità, tra i quali spiccano Jay Bellerose, talentuoso batterista e percussionista che figura pure in The Union e nell'upcoming The Diving Board e Rusty Anderson, chitarrista di classe in forze nella band di Paul McCartney. C'è un cammeo di Stevie Wonder, che torna all'armonica quasi venti anni dopo I Guess That's Why Call It The Blues. C'è il ritorno di Nigel Olsson alla batteria. Dopo la partecipazione ai cori per svariati anni, finalmente il batterista che più rappresenta il sound dell'Elton dei primi tempi, ritorna al suo ruolo. In alcuni brani il fill di Olsson è rassicurante per il fan di vecchia data, che, dopo aver conosciuto Elton accompagnato dalla batteria selvaggia di 17/11/70, era stato addirittura costretto a sorbirsi la drum machine di Olle Romo in The One. Elton ha messo a durissima prova la fiducia dei suoi fans. Tanto che la maggior parte lo ha abbandonato nel corso degli anni. Ma Songs From The West Coast è un atto di gratitudine per chi gli è rimasto vicino. E una prova di saggezza e maturità per chi, con questo album, gli si è riavvicinato.

E' un album vero, asciutto, in cui pure le sbavature possono essere perdonate sia perché la bellezza complessiva del disco trascina l'ascoltatore fino alla fine; sia perché le cadute di Elton dopo il periodo classico sono state così brutte, tante e vergognose, che la produzione sbagliata di un brano country come Birds risulta un peccato veniale all'orecchio dell'ascoltatore attento.
Le melodie sono tutte di classe. Come anticipato, Birds è uno delle vette dell'intero lavoro: un brano country leggero che sì, è la prova della maturità dell'autore di Country Comfort e Dixie Lily. Qui la formazione pop di Leonard mostra i suoi limiti perché confeziona in maniera elegante, pulita e brillante un brano che avrebbe dovuto essere stripped down e con meno strumenti. Di livello assoluto è, sicuramente, il brano di apertura, Emperor's New Clothes: un soft rock delizioso, che risplende grazie ad una lunga intro di pianoforte come non se ne ascoltavano da decenni. La prima canzone del disco fa sospirare l'ascoltatore ucciso dai dischi degli 8Os e 90s: tutto questo pianoforte (il cui suono martellante è, ancora una volta, una conseguenza della formazione pop di Leonard, ma che, comunque, non stona con l'impostazione del disco) sarà mica davvero dell'autore di Tumbleweed Connection che è tornato a fare musica?
Sulla stessa linea American Triangle, il racconto drammatico della straziante morte del giovane Matthew Shepard, con la quale si raggiunge il picco della tensione dell'album. Anche qui è riconoscibile la classe compositiva, con una melodia che si nutre della sua stessa drammaticità ed evocatività.
Altro brano di spessore è This Train Don't Stop There Annymore. Le liriche sono profonde e Elton compone una ballad introspettiva che risplende davvero in una veste piano-basso-batteria e orchestra diretta da Buckmaster.Nome, questo, che non è stato scelto a caso, visto che le sue ariose orchestrazioni gonfiano i polmoni dell'ascoltatore che riconosce uno dei responsabili di quel formidabile capolavoro di orchestrazioni che è Madman Across The Water.
Il lavoro di Buckmaster è particolarmente pregevole: eleva di molto il livello di una melodie a buone e nulla più, come The Ballad Of The Boy In The Red Shoes.
Degne di menzione sono Mansfield e The Wasteland. La prima è un gioiello pop, che parte sottotono per esplodere nel tripudio delle orchestrazioni di Buckmaster: complici i testi esotici, Elton compone una ballata che gode della semplicità e della evocatività della melodia, prima ancora del vestito (un po' stretto) cucitole addosso dal produttore. Un perfetto mix di musica e parole, che si fondono tra loro in maniera così pregevole da lasciare l'ascoltatore a Mansfield, avvolto dal tepore dell'estate indiana (un altro esempio di musica evocativa sarà Mandalay Again, da The Union). L'altra, The Wasteland, è un blues sporco e arrabbiato sottovalutato dai fans, ma che costituisce una bella incursione nel genere da parte di Elton. Il richiamo immediato è sicuramente a Stinker, certamente migliore in tutto rispetto a questa, che comunque si difende bene nel contesto.
Ultimo cenno a I Want Love, singolo di punta dell'album, lennoniana come non mai, con quella linea di chitarra ripetuta in maniera così straniante da accompagnare assai degnamente le liriche di Taupin. Anche qui, c'è tanto pianoforte. Bellissima intro sostenuta dal basso.
Per chiudere, chi ha conosciuto Elton per le sue canzoni d'amore, non potrà non apprezzare Original Sin: classica ballad romantica eltoniana, sicuramente di classe. Qui Leonard dà il meglio di sé come produttore perché indovina la veste da cucire addosso ad una canzone come questa. Se la produzione delle canzoni deve giudicarsi strettamente in connessione col genere di appartenenza, Original Sin è una canzone riuscitissima, sotto questo punto di vista.

Songs From The West Coast è un album sincero. Per scrivere grandi canzoni, che rimangano nel tempo, secondo il Maestro di Elton, Leon Russell, devi scrivere canzoni vere. Una canzone può definirsi vera quando è spontanea. Quando è scritta per il piacere di essere scritta. In questo senso, Songs From The West Coast è un album assai vero. Un album che ci restituisce la versione matura di uno dei più formidabili, controversi e dotati compositori della storia. Deciso, finalmente, ad andare avanti guardandosi e ripartendo dalle sue origini.




di The Bridge   2012

4 anni dopo il fiacco "The big picture" (il punto più basso dell'EJ anni 90), elton si ripresenta al mondo con un album finalmente ispirato e convincente. Prodotto straordinariamente omogeneo, non vede nessun brano spiccare sugli altri, tranne il primo singolo "I want love" e la ballata "... of the boy in the red shoes", almeno al mio palato. Certo, il paragone coi dischi degli anni 70 è improponibile, però si torna a percepire l'Elton che ogni fan avrebbe voluto sentire per tutti gli anni 80 e 90, e che invece si era inabissato in un lungo letargo... Davvero un album niente male, anche se a dire il vero gli preferisco i quasi contemporanei (per l'Elton del 2000, con un album sfornato ogni 4 anni, lo spazio di quasi un decennio significa quasi contemporaneità) "The captain and the kid" (album meno patinato di questo e più nostalgico) e "The union"(assai più convincente e ispirato dal punto di vista compositivo).

Voto: 7+





di Stefano Orsenigo   2012

Nel 2001 guardavo spesso MTV (si sa, da giovani si fanno molti errori), senza trovare nulla di appagante fuor dello sfizioso (e talvolta eltonesco) pop di Robbie Williams. Improvvisamente, due vecchie volpi fecero uscire nello stesso periodo due brani che sembravano provenire direttamente da metà anni 70: uno era You rock my world, ultima hit di Michael Jackson prima del tragico declino, l’altro I want love di Elton John, ed erano accompagnati da memorabili videoclip, rispettivamente una variazione sul tema noir-gangster di Smooth criminal e un lungo, tortuoso piano-sequenza incollato a un pensoso Robert Downey jr. Da buon samaritano, Elton lo fece uscire di galera apposta per girare il video, e da lì l’attore avrebbe ricostruito la propria carriera…
Songs From the West Coast, di cui I want love era un ottimo antipasto, mi piacque moltissimo fin dal primo ascolto, ma fu solo dopo la scoperta di tutta la discografia eltoniana che ne compresi appieno il valore, nell’ispirazione come nella confezione. Prendete Emperor’s new clothes: gli accordi sono complessi, imprevedibili, sorprendenti, il pianoforte sembra esplodere in un boato liberatorio dopo anni di umiliazioni e Patrick Leonard gli affianca basso, batteria e archi-di-Buckmaster nel più inconfondibile stile Madman Across the Water. Incredibile ma vero, è proprio il produttore di Madonna ad ottenere l’arrangiamento “ricco ma essenziale” che più si avvicina alle migliori prove di Gus Dudgeon, che si completa con un suono pulito, limpido, tirato a lucido senza essere banalmente radiofonico o inutilmente ruffiano, e che valorizza al meglio una band eterogenea dove trovano posto Nigel e Davey, Jay Bellerose e Matt Chamberlain, Stevie Wonder e Billy Preston, Gary Barlow e Rufus Wainwright.
Ma è l’ispirazione a fare la differenza con tutto l’Elton post-Blue Moves: la scrittura è più cantautoriale, non piagnona ma toccante, Bernie affronta temi scottanti come l’omofobia (American Triangle) e l’AIDS (Ballad of the boy in the red shoes) e anche quando l’Elton al miele riaffiora (Original sin) lo fa con eleganza, la stessa che eleva il riempitivo (Dark diamond, che avrei sostituito con una a scelta tra le magnifiche B-sides scartate, magari God never came here); e quando si getta nel puro pop (Love her like me) il risultato è delizioso.
Solo ballads, dunque? Nossignore! Prima della chiusura, con la suggestiva Mansfield e la meravigliosa, autobiografica This train don’t stop there anymore (per chi scrive, il suo lento più bello e commovente dai tempi di Idol), c’è spazio per The wasteland, un tagliente omaggio alle radici del blues che, finora, resta il rock più vispo del suo ultimo periodo (diciamo, del post-Wake up Wendy), e per due brani che giocano col folk-country (Look ma’, no hands e Birds), segnando l’inizio del riavvicinamento dell’autore al rock americano e quindi allo stile degli anni migliori.
Un lavoro importante West Coast, che apre la fase neoclassica di Elton, al quale però non è più riuscito, dopo questo disco, il colpaccio di conciliare buone vendite e ottime critiche, soddisfare il fan storico e lo spettatore di MTV, chi vuole la hit a tutti i costi e chi pretende a ragione qualcosa di più raffinato.

Voto 7/8