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ELTON JOHN
VERONA

ARENA 25/05/2002


      dal GAZZETTINO

               Elton John, sotto la pioggia
               scrosciante a tempo di rock'n'roll


                          Due ore sotto la pioggia, che ha iniziato a scrosciare dopo le prime canzoni. Insistente,
                           battente, e portata dal vento fin dentro al palco coperto. Scappano a ripararsi i musicisti
                           (i vecchi amici degli inizi Davey Johnstone chitarra, e Nigel Olsson batteria, oltre a Bob
                           Burch basso, John Mahon percussioni, Guy Babylon tastiere), la folla tenta di coprirsi con
                           ombrelli e impermeabili ma non si muove. Il pianoforte a coda di Elton John viene
                           amorosamente coperto da un grande telo di plastica ma il 55enne musicista, abito scuro
                           di broccato, occhialetti rosa in tinta col parrucchino, resta al suo posto. «Facciamo altre
                           quattro canzoni e poi chiudiamo», gli propone il manager. «No way. Non se ne parla»,
                           replica Sir Reginald. E resta solo dietro al suo piano decidendo che un concerto iniziato
                           loffiamente dovrà diventare da quel momento in poi un piccolo evento. All'amico
                           LaChapelle dedica "Candle in the wind" che aveva promesso di non suonare più dopo la
                           morte di Lady Di. E poi comincia la sua personale lotta contro l'acqua che cade,
                           riscaldando gli inzuppati con una grinta rock'n'roll che da tempo non gli si riconosceva
                           più. 

                           Gli scappa da ridere presentando "Holiday Inn" canzone scritta per un album "Madman
                           across the water" (un pazzo che attraversa le acque) dal titolo particolarmente
                           appropriato vista la situazione. Poi dedica una canzone agli amici Dario e Michela di
                           Venezia, città dove rivela «ho trovato un posto mio. L'Italia è splendida e tutta Verona è
                           splendida perchè siete riusciti a rimanere nonostante la pioggia». 

                           Lo spettacolo era cominciato in un clima grigio ma asciutto con "Funeral for a friend" e
                           recuperando il gusto per i solo strumentali in "Bennie & the jets". Dopo una "Daniel" un
                           po' strascicata, Elton nostra di voler fare una vera e propria antologia dei tempi andati,
                           passando a "Someone saved my life tonight" e "Philadelphia Freedom" (da Captain
                           Fantastic) attraversando la recente "Ballad for a boy in the red shoes" scritta per un
                           ballerino malato di Aids. «Scusate il mio inglese - dice - ho scritto questa canzone
                           pensando all'America degli anni '80 ma oggi con Bush non è cambiato niente». 

                           "Philadelphia Freedom" del '75 precede il poderoso blues alla Muddy Waters di "The
                           Wasteland", dall'ultimo album "Songs from the West Coast", una discreta e attesa
                           "Rocket man" e la classica "I guess that's why they call it the blues". 

                           Poi la pioggia scroscia e più che la musica comincia ad arrivare dal palco la sfida e
                           l'energia. Un uomo solo sotto l'acqua racconta le sue storie facendo scivolare le dita
                           cicciotte sui tasti bagnati del piano: "Candle", "Sacrifice", "Sorry seems to be the hardest
                           word". Alla fine la band torna a fargli ala e ilo concerto riprende con cadenze rock'n'roll
                           che si mescolano al country delle ultime rivisitazioni, "American Triangle", "Tiny Dancer",
                           "Original sin". E quando ormai sembra che l'acqua debba prendere il sopravvento "Don't
                           let the sun go down on me" (non lasciare che il sole scenda su di me) diventa quasi un
                           esorcismo, e "Your song" l'omaggio di un artista che ha rispettato il pubblico fino in
                           fondo, come vidi fare nello stesso posto, nelle stesse condizioni, forse solo a Frank
                           Sinatra. 

                           Ieri sera il bis a Pesaro prima di riprendere il lungo tour intorno al mondo. 

                           Con questo concerto si è aperta la stagione dei grandi eventi all'Arena di Verona. Attesi
                           ora sono Jamiroquai l'8 giugno, Lenny Kravitz il 9 giugno, la finale del Festivalbar il 6
                           settembre, Notre Dame de Paris il 12, 13 e 14, Ligabue il 18 e Biagio Antonacci il 20,
                           oltre naturalmente alla stagione lirica.

                           Giò Alajmo

                   da L'Arena - Il Giornale di Verona

                    I grandi concerti. 
                    Nonostante un temporale i circa 15 mila fan non abbandonano 
                    l’anfiteatro. Per sfuggire alla caccia all’autografo ha usato un sosia al Catullo 

                   Elton, emozioni sotto la pioggia
           La pop star incanta l’Arena con uno show di vecchie e nuove
           canzoni

                    di Luigi Grimaldi 

                    Elton John batte anche la pioggia. Pochi dei circa 15 mila si schiodano dalle 
                    gradinate e dalle poltrone dell’Arena, nonostante un acquazzone che poco prima e dopo un’ora 
                    dal concerto ha in parte rovinato uno dei più importanti appuntamenti della stagione rock 
                    all’anfiteatro. Eppure è iniziata bene la serata. Alle nove in punto, quando ancora gli spettatori 
                    stanno prendendo posto in Arena, il baronetto entra sul palco e saluta alla sua maniera: mostra 
                    la lingua. Poi s’incolla al pianoforte e suona «Funeral/Love leis bleeding». Si capisce subito che 
                    non lesina nulla e che, da straordinario showman qual è, darà il massimo per esaltare i suoi fans. 

                    La prima canzone famosa, una di quelle che l’ha reso celebre almeno trent’anni fa, è «Daniel». 
                    Poi Elton John lascia spazio al suo ultimo album «Songs from the West Coast». Annuncia «Red 
                    Shoes» spiegando che l’ha scritta per criticare l’amministrazione americana di Ronald Regan 
                    che secondo lui non ha fatto nulla per combattere l’Aids e s’è augurato che lo stesso errore non 
                    venga commesso da Bush. 
                    «Philly» invece è il brano che fa impazzire le prime file delle poltronissime. I ragazzi si alzano in 
                    piedi, ballano, e gli addetti alla sicurezza fanno fatica per farli sedere per permettere anche a chi 
                    è dietro di continuare a seguire lo spettacolo. 
                    Poi le dita di Elton John scivolano sulla tastiera del pianoforte. Due accordi, il primo in minore 
                    settima, il secondo in nona. Li ripete tutti e due ancora una volta e poi passa al bemolle. Il 
                    pubblico capisce: inizia «Rocket man». Le note volano fin sulle gradinate, il genio inglese fa 
                    appena in tempo a pronunciare la prima strofa («She packed my bag last night preflight...»") che 
                    l'ovazione dell'Arena lo investe, e quando il suo uomo razzo che ha perduto il cuore e sua 
                    moglie si racconta, gli spettatori viaggiano sull'onda della melodia nello spazio di uno dei più
                    grandi capolavori della musica pop. L’ha cantata dappertutto, dallo straordinario concerto 
                    «Live Aid» alla fine degli Anni Ottanta alla recente apparizione televisiva negli Usa alla Cbs allo 
                    show «Live for request», quando, su richiesta telefonica e in diretta della moglie di una delle 
                    vittime delle Twin Towers, Sir Elton ha dedicato a lui e a tutti i morti del World Trade Center 
                    questa canzone. Ed anche in Arena la esegue con l’arrangiamento da rhythm and blues, 
                    straordinariamente seguito dalla band composta da Davey Johnstone alla chitarra, Bob Birch al 
                    basso, John Mahon alle percussioni, Guy Babylon alle tastiere e Nigel Osson alla batteria. E 
                    come al solito, all'ultima nota, l'artista alza il dito e lo sguardo verso il cielo. E dall'alto piovono 
                    applausi. 
                    La pioggia però riprende a battere con insistenza verso le dieci. Si aprono gli ombrelli, il vento 
                    porta l’acqua fino al palco coperto, Elton John continua a suonare con la pioggia che bagna lui e 
                    il pianoforte che da nero d’incanto diventa bianco per il telone. «It’s wonderful singing in the 
                    rain. Ciao Verona». 
                    Il concerto finisce con i quindicimila in piedi a ballare «Crocodile rock». E il bis concesso, è il 
                    classico «Your song», romanticissimo brano che fa sognare anche sotto l’acqua. 
                    Il baronetto è arrivato ieri all’aeroporto Catullo verso le 16 con un volo privato, dopo aver 
                    festeggiato a Londra il matrimonio della sua amica Claudia Schiffer . Ha fatto uscire prima un 
                    sosia per evitare l’abbraccio dei fans, poi è salito su un’auto tra minuziose misure di sicurezza. 

 


da MUSICA di Repubblica del 6/6/02
 

Elton John   25 maggio  Arena di Verona
La pioggia sui tasti del pianoforte non inumidisce neanche un minuto dei suoi classici.  Nonostante sia costretto ad abbassare il tono delle sue canzoni, e in molti passaggi non possa più permettersi di articolare la frase come faceva una volta, perchè la voce non è più quella di un tempo, Elton è forte perchè la sua storia è più forte di un qualunque temporale. Anche di quello che trasforma l'Arena di Verona in un punto di ritrovo per ombrelli e impermeabili innamorati, gente di tutte le età, dai 13 ai 65.  Spettacolo delizioso, malgrado qualche canzone nuova, benchè impegnata come "Red Shoes", non abbia verve e sia davvero piccola cosa davanti a "Bennie And The Jets" (versione memorabile), "Tiny Dancer", "Holiday Inn", "Daniel", "Have Mercy On The Criminal", "Take me To The Pilot", "Rocket Man".  Altro momento unico la versione solo piano di "Sorry Seems To Be The Hardest Word".  Ormai è chiaro: Elton è più leone da palco che autore.  La sua penna è indebolita, ma la sua grinta di performer è ancora vigorosa.  Come è la sua voglia di scoprire nuovi mondi.  Dopo aver "garantito" la firma del giovane cantautore John Mayer, intervistandolo per la rivista Interview, sul palco rende omaggio a Ryan Adams cantando, in modo sopraffino,  la sua fantastica "Oh My Sweet Carolina": Jackson Browne che diventa Ryan Adams che diventa Elton John.

enrico sisti

da www.livepoint.it 

Sono appena passate le ore 20 quando sull’Arena di Verona iniziano le prime mal auguranti gocce di pioggia. Chi più, chi meno è fornito di ombrelli, leggeri impermeabili e sacchetti di plastica per non farsi trovare impreparato di fronte al maltempo. Pochi minuti più tardi è diluvio; il cielo è scuro e la pioggia picchia insistentemente sui gradoni dell’anfiteatro. Non è tanto il clima che spaventa gli oltre 15.000 accorsi a Verona, quanto la possibilità che il concerto venga annullato. Nel backstage si mormora infatti che Elton John non sopporta la pioggia e non ci penserebbe un attimo ad abbandonare il palco a concerto iniziato, come già successo in altre diverse occasioni.  Nonostante l’insistenza della pioggia, alle ore 20.45 la gente lascia gli antri coperti dell’Arena e prende posto; due minuti più tardi smette di piovere e una voce dal palco prega i presenti di accomodarsi perché il concerto inizierà in orario. Alle 21 precise arriva sul palco la band e subito dopo Elton John, in completo nero e occhiali rossi, sobrio ed elegante. Il boato dell’anfiteatro si alza fragoroso, tutto va per il meglio: ha smesso di piovere e il concerto è iniziato come da copione. La band è decisamente all’altezza, i fonici hanno fatto un ottimo lavoro ed Elton è in grande spolvero. Alla fine di ogni canzone si alza dal pianoforte, si dirige a salutare il pubblico che risponde con applausi scroscianti. Il calore maggiore arriva dalle prime file della platea, occupata dai fans più accaniti; per lo più, il resto dell’Arena ascolta ordinato, canticchia e si lascia andare nei momenti più energici e in quelli in cui diventa necessario. Funeral for a friend, Philadelphia Freedom, The Wasteland, Crocodile Rock sono i punti più caldi, mentre Rocket man, I want love, Candle in the wind, Don’t let the sun go down on me e Your song, i brani più toccanti, nonchè i più cantati e famosi.  Nell’economia del concerto è stato previsto tutto; ci sono i brani più rock e le ballate più famose, i pezzi più vecchi e quasi sconosciuti e i successi dell’ultimo ‘Songs from the west coast’. E’ stato effettuato solo un cambio rispetto alla scaletta prevista, togliendo ‘Pinball Wizard’ tra ‘Crocodile rock’ e ‘Don’ let the sun go down on me’ e aggiungendo ‘Candle in the wind’ tra ‘Take me to the pilot’ e ‘Sacrifice’.  Tutto è stato previsto, compresa la pioggia. La speranza l’aveva allontanata dalla mente di tutti, ma puntuale, alle 22 è tornata ad insistere, durante una delle canzoni preferite da Elton, ‘This train don’t stop there anymore’. Mentre la band continuava con il concerto, l’Arena si è colorata dei mille colori dei sacchetti di plastica a forma di k-way che hanno fatto la fortuna dei venditori in Arena. La paura che il concerto potesse essere sospeso era nell’aria, soprattutto quando il vento ha iniziato a portare la pioggia battente sul palco, bagnando la strumentazione, il pianoforte e i musicisti. Metà concerto era stata superata da poco e iniziava il momento acustico: terminato a questo punto, il concerto sarebbe stato un live act senza infamia né lode. Niente affatto; tutto come se niente fosse. Alla fine di ogni canzone Elton John si alzava, faceva il giro del palco, salutava i presenti bevendo un goccio della birra sempre fresca e ricominciava a suonare, fradicio come tutti presenti.  La pioggia picchiava forte e alcuni presenti non se la sono sentita di arrivare fino in fondo, quasi certi che il concerto sarebbe stato sospeso di lì a poco. Invece Elton John ha dato una dimostrazione di grande professionalità e profondo rispetto per i suoi tanti fans. E’ arrivato fino in fondo, non si è risparmiato ed ha conquistato tutti i presenti ringraziandoli più volte di essere rimasti nonostante la pioggia.
In definitiva Elton John ha regalato 25 canzoni della sua carriera in più di due ore e mezza di concerto, un’ora e mezza delle quali sotto un diluvio che non ha risparmiato nessuno. E’ certo che senza la pioggia sarebbe stato tutto più bello e facile, ma anche così ne è valsa la pena, fosse solo per aver scoperto l’immensa classe di un cinquantacinquenne che ama il suo pubblico e lo ricompensa come meglio può fare.

Fabio Fila