tell me what the papers say ... 
            (giornali italiani) 
             
            
                 
              
             
            andate qui per 
             
            
            RECENSIONI GIORNALI ESTERI 
             
            RECENSIONI FANS
            
             
             
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
              
                
                  da Jam - ottobre 2010 
                   
                   
                    
                   | 
                 
                
                   
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  da Rockol 
                   
                  
Elton John e i suoi abiti di Armani li conoscono tutti, ma chi è quel 
tipo con il barbone bianco da santone e i capelli lunghi da vecchio 
hippie che siede vicino a lui e al pianoforte a coda nella foto di 
copertina? E’ un grande missing in action della musica rock, è il 
“master of space and time”, lo stregone amico delle star che da giovane 
suonò in centinaia di dischi di successo (da Frank Sinatra ai Beach 
Boys, suo il piano elettrico in “Mr. Tambourine man” dei Byrds) come 
membro di quella fantastica ciurma di session men losangeleni conosciuta
 come The Wrecking Crew, per poi diventare il defilato direttore 
d’orchestra di fantasmagorici spettacoli come il concerto per il Bangla 
Desh voluto da George Harrison e il “Mad dogs and Englishmen” che 
consegnò alla storia l’ugola ruggente di Joe Cocker. Insomma, è Leon 
Russell, un mediomassimo del rock uscito dal ring di sua spontanea 
volontà e che solo la cocciutaggine di Elton, suo devoto ammiratore e 
discepolo, ha tirato fuori da un esilio autoimposto nel circuito dei 
piccoli club prima che sia troppo tardi (è bastata una telefonata: i due
 non si sentivano dalla bellezza di 37 anni!). Non se la passa troppo 
bene, il sessantottenne Leon, se è vero che le sedute di incisione hanno
 dovuto essere interrotte lo scorso mese di gennaio per permettergli di 
sottoporsi a una delicata operazione di cinque ore e mezzo al cervello. 
Ma è qui tra noi, e l’incontro tra lui, mr. Reginald Dwight, il 
paroliere di fiducia Bernie Taupin e l’ormai ubiquo produttore T Bone 
Burnett, negli Electro Magnetic Studios che quest’ultimo ha allestito a 
Los Angeles, è un summit da consegnare alla storia. Il disco partorito 
da questo epocale G4 è bello, ma – questione di gusto personale – 
avrebbe potuto esserlo ancora di più: se solo Elton e Leon avessero 
calcato meno la mano sul pop e più su quella “Cosmic American Music” 
(come la chiamava il compianto Gram Parsons) che è sempre stata la 
specialità di Russell, un minestrone saporito e genuino di blues, 
country, soul, gospel e rock’n’roll che il cappellaio matto 
dell’Oklahoma sa cucinare a meraviglia e che mr. Rocket Man ha 
frequentato con profitto all’epoca dei suoi primi dischi anni ’70 per la
 DJM di Dick James. Si dividono la ribalta da amiconi, i due: due voci 
(quella di Elton sempre in forma smagliante, quella di Leon più fragile e
 sofferente) e quattro mani sul pianoforte, strumento protagonista – non
 è certo una sorpresa – di tutte le canzoni. E sono in ottima compagnia:
 Neil Young presta la voce a “Gone to Shiloh”, epica ballata sudista che
 rievoca una storica battaglia della guerra di Secessione e che sta 
perfettamente nelle sue corde; Brian Wilson moltiplica la sua sullo 
sfondo della malinconica “When love is dying”, canzone da crooner fuori 
orario e con gli occhi stropicciati. La backing band è da sogno e 
funzionale, senza smanie di protagonismo: Booker T Jones suona l’organo 
come volesse riportare tutti nella congregazione, Marc Ribot pizzica la 
sua chitarra magica con la solita parsimonia, Robert Randolph si tiene a
 freno accarezzando la pedal steel, Jim Keltner pesta meno del solito 
sui tamburi, Don Was si nasconde dietro il basso e un coro di voci nere 
ammanta di gospel e spiritual l’album intero. “If it wasn’t for bad” non
 è una partenza particolarmente memorabile, ma l’“Americana” in 
cinemascope di “Eight hundred dollar shoes” e l’incalzante gospel funk 
alla Staple Singers di “Hey Ahab” rimettono subito le cose a posto. C’è 
un omaggio countreggiante al leggendario Jimmie Rodgers e un ruspante 
r&b stile New Orleans che sembra firmato da Allen Toussaint (“Monkey
 suit”), mentre un valzerone gotico che suona come una marcia funebre 
(“There’s no tomorrow”) prende ispirazione dall’ “Hymn n. 5” di The 
Mighty Hannibal e un trotterellante honky tonk come “A dream come true” 
rievoca la stagione dell’outlaw country: riferimenti nobili e a tutto 
campo, emozioni e divertimento assicurato anche se la scrittura qualche 
volta è di di routine e proprio Leon ogni tanto fa fatica a tenere il 
passo. Russell si mostra particolarmente a suo agio tra i morbidi ritmi 
black di “Hearts should have turned to stone” e suona sinceramente 
commovente nell’epilogo di “The hands of angels”, confessione disarmante
 della sua fragilità e delle sue traversie di salute. Elton, al 
contrario, sprizza energia e tira verso il lato più pop del disco dando 
il meglio su “Never too old (to hold somebody”), una impeccabile ballata
 nello stile classico di autori come Jimmy Webb. Dai tempi di “Songs 
from the West Coast” (2001) e di “The captain and the kid” (2006) è un 
po’ rinato anche lui, guardando al passato suo e altrui si è finalmente 
smarcato dal pop vacuo e seriale di troppi dischi inutili. E dunque, 
anche se “The union” non è forse tutto quel che prometteva d’essere, 
grazie Elton. E grazie, Leon. 
                  
                   
Alfredo Marziano 
                   
                   
                   
                   | 
                 
                
                   
da www.musicalnews.com 
                   
                  L’unione fa la forza: Elton John e Leon Russell insieme in un album 
                   
di Augusta Pippoli Mancini 
                   
                  
L’album
 dal titolo “The union”, in uscita il 19 ottobre, nasce 
dall’apprezzamento di Elton John per Leon Russel e dal suo desiderio di 
realizzare un disco lontano dai criteri della musica pop. Con questa 
collaborazione sembra avere centrato questo obiettivo. 
                   
‘A 63 
anni, rivela John, mi rendo conto che non sarò spesso nella classifica 
dei singoli; adesso, per me, la cosa importante è comporre album e 
cercare d’essere maturo. Leon è un mio idolo, lavorare con lui è stata 
un’esperienza commovente. Fare questo disco è inutile se non metterà 
sotto il riflettore il lavoro di Leon. Voglio che abbia una condizione 
economica accettabile, voglio migliorare un pochino la sua vita. Tutto 
quello che desidero per lui è quello di avere, nella sua vita, i 
riconoscimenti che sembrano essere stati dispersi per lui negli ultimi 
35 anni. Voglio che il suo nome sia sulla bocca di tutti, come lo è 
stato.
                   
                   
                  
I due artisti si stimano reciprocamente sin dal 1970 
quando si sono incontrati per la prima volta. Dal suo sito ufficiale, 
Elton scrive: ‘Non sottolineerò mai abbastanza quanto sia importante 
l’influenza di Leon Russell sulla musica di Elton John e Bernie Taupin. 
Nel 1970, quando siamo andati in America e ho suonato al Troubadour, 
eravamo ossessionati dalla musica di Leon, e lo guardavamo come una 
sorta di dio musicale. Nel secondo concerto al Troubadour Club di Los 
Angeles lui era lì in prima fila, ma per fortuna non me ne sono accorto 
fin quasi alla fine dello spettacolo, altrimenti sarei diventato 
nervoso‘. 
                   
Leon Russel, 68enne con un originale look dovuto a 
capelli bianchi candidi, barba lunga e un grande cappello da cowboy, 
puro talento musicale, ha suonato per oltre 50 anni il suo rock, blues e
 country infuso di gospel , ha collaborato con John Lennon, i Rolling 
Stones, condotto il famoso tour di Joe Cocker “Mad Dogs & 
Englishmen”, si è esibito con George Harrison al concerto di Bangla Desh
 e nel 2006 ha ottenuto un riconoscimento alla carriera. Tra le sue 
composizioni vengono ricordate la bellissima “A song for you”, “Delta 
lady”, ripresa da Joe Cocker e “This masquerade”, incisa anche da George
 Benson, interpretata in Italia da Mina nel suo cd doppio “Ridi 
pagliaccio” e da Mia Martini in versione jazz.
                   
                   
                  
Il disco “The 
union” è stato registrato in sessioni dal vivo in studio con John e 
Russell che fanno a gara con il piano, in una varietà di stili musicali 
che spaziano dal soul al gospel con incursioni pop-rock e atmosfere 
country. Si avvale di ospiti prestigiosi come Neil Young e Brian Wilson 
con le loro partecipazioni vocali, preziosi musicisti e persino di un 
coro gospel di 10 persone. Ai testi ha collaborato Bernie Taupin, da 
anni il paroliere di fiducia di Elton John. Si dice che è un disco 
bellissimo che raccoglierà molti consensi. Elton John spera che sia così
 per potere dare seguito al progetto con un album successivo di cover. 
                   
Il
 primo singolo estratto è “If It Wasn’t For Bad”, già disponibile su 
Itunes. La produzione è di T-Bone Burnett: ha lavorato con Elvis 
Costello, Tony Bennett e K.D. Lang. La copertina è stata realizzata da 
Annie Leibovitz e Cameron Crowe che ha anche filmato le sessioni di 
registrazione di un documentario, i cui dettagli sono ancora da svelare.
                   
                   
                   | 
                 
                
                   
                  
                  Il Venerdì di Repubblica: 
                   
                  4 stelle 
                   
                  A quarant'anni dal loro pirmo incontro, i due artisti incidono un omaggio al blues 
                   
                  ELTON JOHN E LEON RUSSELL: PIù CHE AMICIZIA E "THE UNION" 
                   
                  La prima volta che
elton john incontra leon russel è l'agosto del 1970 : ha appena
23 anni ,è appena sbarcato negli USA con il primo tour
internazionale. Leon è al top della carrier ma, presto, lecose
si ribaltereanno: Elton diventerà il solista più
importante del decennio, Leon scomparirà. 
                  C'è voluto
The Union perchè leon tornasse a fare musica " Era il mio idolo"
ha dichiarato Elton. E si capisce perchè questo cd, prodotto
magistralmente da T Bone Burnett e scritto in parte con Leon, suoni
come un album di quest'ultimo. La traccia che apre The Union, il
singolo If it wasn't For Bad, è di russell: è una ballata
con i fiati e cori gospel che ricordano quelli della sua band, gli
Shelter People. Tutto il disco,però, ha queste atmosfera: voci
nere, blues, fiati, piano. Il capolavoro è Gone To Shiloh,
cantata Elton, Leon e Neil Young (nel cd ci sono altri ospiti: Brian
Wilson e Booker T. in primis). E' una lenta marcia che racconta una
delle battaglie più sanguinose della Guerra di secessione.
Jimmie Rodger's Dream, dedicata a uno dei padri del country, ricorda
l'Elton di Dixie Lily; c'è l'Uptemo rollingstoniano di Monkey
Suit, il r&r di Hey Ahab e A Dream Come True. E, come si è
aperto, il cd si chiude con un pezzo scritto e cantanto interamente da
Leon, In The Hand Of Angels. 
                   
                  di Luca Valtorta 
                   
                  
                  
                   | 
                 
                
                   
da discoclub.myblog.it 
                   
                  Duelin' Pianos!  Elton John & Leon Russell - The Union 
                   
Elton John & Leon Russell - The Union - Mercury-Decca/Universal CD+DVD 
                   
                  
Non
 sarà un capolavoro assoluto ma non è neppure un disco inutile. Una 
giusta via di mezzo, un "Signor Disco" che riporta all'attenzione del 
mondo quel signore dall'aspetto imponente giustamente definito un 
incrocio tra "Dio e un profeta con un capello da cowboy" e quel "buffo" 
inglese dalla capigliatura di un improbabile colore. E se poi, come ha 
giustamente sottolineato Elton John, il disco servirà per assicurare a 
Leon Russell una vecchiaia sicura, una sorta di meritata pensione, il 
suo compito sarà stato svolto in modo egregio. Tutto iniziò un paio di 
anni fa in un episodio della trasmissione Spectacle. 
                   
Anche se a 
giudicare da quello che si ascolta in questo disco i due, Elton John 63 
anni e Leon Russell 68 anni, sono quanto di più lontano ci si possa 
aspettare da due "pensionati". Perché il disco è bello, molto bello: 
sono quattordici brani (16 nella versione Deluxe) che ci riportano ai 
gloriosi anni '70 quando Elton era un giovane pianista e compositore che
 cercava fortuna in America e Leon era il suo modello, un grande 
pianista già con una lunga carriera alle spalle come componente della 
Wrecking Crew, il gruppo di musicisti che accompagnava abitualmente Phil
 Spector nei suoi dischi, ma suonava anche con i Beach Boys, i Byrds, 
Herb Alpert, aveva scritto Delta Lady per Joe Cocker, con il quale di lì
 a poco avrebbe condiviso e guidato il tour di Mad Dogs And Englishman. E
 tutto questo mentre gli anni '70 erano ancora ai loro albori. In quel 
tour venne presentata anche Superstar che Leon Russell aveva scritto con
 Bonnie Bramlett e la cantava Rita Coolidge che era stata la corista di 
Delaney & Bonnie con cui Russell aveva lavorato (poi il brano 
sarebbe diventato un grande successo per i Carpenters). Perché tutto ha 
una sua sottile logica, come ho già detto in altre occasioni non sono 
solo nomi buttati là, sono vite musicali intere che si dipanano davanti 
ai nostri occhi, rappresentate da quei nomi. 
                   
Quando i due 
incrociano le loro strade per la prima volta è sul palco del Troubadour 
dove prenderà il via la clamorosa carriera di Elton John in America: in 
quei concerti che diventeranno il Live 17-11-70 (e nei quali presentava 
il materiale di Elton John e Tumbleweed Connection) Leon Russell era 
l'artista che apriva i concerti ma nello stesso tempo era già un 
"musicista per i musicisti", amato da Bob Dylan, George Harrison e Frank
 Sinatra che l'avrebbero voluto con loro (per esempio nel famoso 
concerto del Bangla Desh). 
                   
Quella geniale fusione tra rock, 
canzone popolare americana, country, soul, musica di New Orleans che 
scorreva nei solchi dei dischi di Leon Russell si sarebbe riversata in 
quelli di Elton John che attraverso la mediazione dei testi di Bernie 
Taupin avrebbe fatto quell'ulteriore scatto qualitativo che lo ha reso 
in quegli anni uno dei pochi musicisti che faceva musica di grande 
qualità vendendo tonnellate di dischi. Ma anche Leon Russell non 
scherzava. Nel 1972 il suo album Carney sarebbe arrivato al secondo 
posto delle classifiche USA (era quello con Tight Rope e This 
Masquerade), ma poi contrariamente a quanto hanno riportato molti non è 
iniziato l'oblio, i suoi dischi hanno continuato a vendere (meno) e ad 
entrare nelle classifiche di vendita, per esempio il doppio dal vivo con
 Willie Nelson, One For The Road è ancora entrato nei Top 30 delle 
charts nel 1979. 
                   
Secondo le cronache questo è il 30° disco per 
Elton John, ebbene se non ho fatto male i calcoli (raccolte escluse) 
questo è il disco n°35 per Russell, quindi vedete che non era scomparso.
 Certo, la vita non era più facile, se una volta suonava al Fillmore o 
al Troubadour, ora per mantenere la famiglia si doveva accontentare 
dello Snorty Horse Saloon di Springfield o del Gater's Sports Bar and 
Grill di Gun Barrel City (giuro che esistono!) mentre ora per lanciare 
il nuovo album si annuncia un concerto all'Hollywood Pavillion. E tutto 
questo come ha riconosciuto Russell è tutto merito di Elton John. E di 
T-Bone Burnett che ha prodotto questo disco in modo perfetto, adeguando i
 suoi stilemi produttivi alla musica dei due. Quindi sempre quel suono 
molto "vivo", organico, da registrazione Live, ma meno scarno e asciutto
 del solito, più espansivo, con il giusto spazio per i pianoforti 
"duellanti" dei due protagonisti ma con un suono molto arioso ed 
avvolgente, quattro chitarristi tra cui Marc Ribot e la pedal steel di 
Robert Randolph, una sezione fiati di quattro elementi, mandolino, altre
 tastiere e alcuni ospiti di pregio, oltre ad una serie di voci 
femminili (non accreditate e di cui non so dirvi il nome perché non ho 
ancora il CD in mano) che creano quel sound da gospel secolare, bianco 
che tanto caratterizzava i vecchi dischi di Leon Russell. Di cui ho 
molto parlato ma di Elton John tutto si sa perciò era inutile 
sottolinearne ancora una volta la bravura che, non è riuscito a 
rovinare, con una serie di album imbarazzanti sparsi tra gli anni '80 e 
'90 prima della rinascita artistica dell'ultima decade. 
                   
Qualcuno 
ha detto che l'album in certi momenti ha un suono "commerciale" e non ci
 vedo niente di male fino a che si rimane in questi limiti. Nessuno fa 
dischi per non vendere (almeno credo, ma ci devo pensare). Se il disco 
deve vendere per permettere quella vecchiaia serena a Russell cui si 
accennava prima, che senso avrebbe avuto fare un disco solo elitario 
destinato ad avere critiche fantastiche (e comunque le ha avute) senza 
vendere una copia, con le pacche sulle spalle non si mangia, detto in 
modo brutale, quindi non temete, non è una sòla pazzesca, T-Bone Burnett
 ha mantenuto inalterate le capacità melodiche di Elton John e le ha 
fuse con lo stile più ritmico di Leon Russell che peraltro è in grado di
 scrivere ballate fantastiche come ha dimostrato in passato con la 
meravigliosa A Song For You. 
                   
Mandalay Again che è una delle due 
bonus nella versione Deluxe ne è un esempio: un brano cantato a due voci
 e suonato a quattro mani, è una canzone commerciale, facile ma di 
grande fascino (c'è un bel mandolino) , mentre la bellissima Gone To 
Shiloh rappresenta il lato più ricercato, una canzone che non ha nulla 
da invidiare alla A Song For You citata prima, una ballata pianistica 
sulla Guerra Civile Americana dove le voci di Russell, prima e quella di
 Elton John poi si amalgalmano a meraviglia con quella di Neil Young che
 canta alcuni versi del brano. Occhio a questa versione dal vivo 
registrata il 16 ottobre con la partecipazione di un altro "biancone", 
il grande Gregg Allman. Lo spettacolo, di T-Bone Burnett, si chiama, The
 Speaking Clock Revue e su Youtube ne trovate parecchi altri brani! 
                   
Ma
 anche Hearts Have Turned To Stone con la sua andatura gospel-rock 
sottolineata dalle voci femminili e dai fiati è un ritorno alla miglior 
forma degli anni '70, per non parlare dello stupendo brano country con 
tanto di pedal steel intitolato Jimmie Rodgers' Dream (non dimenticate 
che Leon Russell, nel suo alter-ego Hank Wilson ha dedicato 4 dischi 
alla musica country oltre alle sue collaborazioni con Willie Nelson e 
Elton John ha dedicato alla musica americana quella meraviglia che si 
chiama Tumbleweed Connection). 
                   
Ma tutto inizia bene sin dal primo
 brano If It Wasn't For Bad, introdotta da un piano solitario e dalle 
voci delle coriste, poi entra la voce di Russell sostenuta da quella di 
Elton e ti rendi subito conto che sarà un bel viaggio per l'ascoltatore. 
                   
La
 melodia di Eight Hundred Dollar Shoes scorre dalle mani di Elton John (
 e di Russell) e dal suo piano con la fluidità delle armonie dei brani 
di Madman Across The Water, veramente una delizia sonora. Hey Ahab con 
quei due rolling pianos che si rispondono dai canali dello stereo 
conferma la ritrovata vena di Elton John che sembra avere anche a 
livello vocale la convinzione di un tempo e non si preoccupa più di 
dover creare l'hit single, la Crocodile Rock del momento, ma solo della 
buona musica e ci riesce alla grande. La bluesata I Should Have Sent Her
 Roses scritta dall'inedita coppia Russell-Taupin è un altro ottimo 
esempio della ritrovata vena compositiva dei due vecchi amici mentre 
Elton John indica in There's No Tomorrow il suo brano preferito del 
disco e chi siamo noi per opporci. In effetti è un altro di quei brani 
che ti fanno capire quanto bravo sia stato il Signor Reginald Dwight nel
 passato e quanto possa esserlo ancora. Credo che quella sorta di slide 
che si sente verso metà brano sia creata dall'infernale pedal steel di 
Robert Randolph mentre le voci maschili e femminili "testimoniano" da 
par loro. 
                   
Brani brutti non mi pare di ricordarne, per cui direi 
che l'imperativo è acquistare, acquistare, acquistare e fare felice (e 
più ricco) Leon Russell e per proprietà transitiva anche il buon Elton 
John. Veramente un Signor Disco. 
                   
Ultima curiosità, il regista del DVD allegato al CD è il famoso regista (e appassionato di musica) Cameron Crowe. 
                   
Bruno Conti
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                   
                   
                   | 
                 
                
                   
da www.ilsussidiario.net 
                   
                  
ELTON JOHN & LEON RUSSELL/ "The Union", l'eco di un'America che non
esiste più  
                   
Paolo Vites lunedì 25 ottobre 2010 
                   
                   
                   
                  
L’immagine
 è ben nota, almeno a tutti quelli di una certa età. I capelli lunghi, 
anzi lunghissimi, tra l’argento scintillante e l’azzurro dato dalla luce
 dei riflettori. La barba, il ghigno demoniaco e la canottiera. La voce 
graffiante, nasale, non una bella voce, ma una “voce”, di quelle che si 
imprimono nel cuore. La musica che aumenta sempre più il ritmo e lui che
 si alza in piedi dal pianoforte dove sedeva, e battendo le mani si 
lancia in una danza esaltata ed esaltante. 
                   
Sono le immagini di 
cui ci siamo nutriti ai tempi in cui i grandi della musica rock in 
Italia non ci venivano e quando ci venivano si beccavano una molotov tra
 i piedi, sul palco. Erano gli anni 70, e per chi amava la musica rock 
toccava andare al cinema per averne la giusta dose. Il signore di cui 
poc’anzi era Leon Russell, colto nella pellicola del memorabile "Concert
 for Bangladesh" organizzato nel 1971 dall’ex Beatle George Harrison. 
                   
Leon
 Russell in quel primo scorcio dei 70 fu straordinario interprete, 
compositore (la sua Delta Lady fu incisa anche dalla nostra Mina), 
ispiratore: guidò - per quei pochi anni che durò - la folle carovana del
 cosiddetto “country soul”, il soul dei bianchi del sud degli States.
                  
                   
                   
                  
Un
 intelligente e trascinante cocktail dei migliori umori musicali di 
quella parte d’America tra musica country e dosi stordenti di soul dei 
neri. Russell in quel periodo è la guida spirituale e artistica del Mad 
Dog and Englishmen Tour, quello che consacra il giovane e selvaggio Joe 
Cocker, e poi va con Delaney And Bonnie, duo moglie e marito che incantò
 grandi musicisti come Eric Clapton e George Harrison tanto che 
lasciarono la fredda Inghilterra per esibirsi con loro. 
                   
Un 
momento musicale esaltante, ma Russell era un nome noto agli intenditori
 già dagli anni 60, quando come session man lavorava per Phil Spector. 
Addirittura, è lui che suona nel primo singolo dei Byrds, Mr. Tambourine
 Man, perché loro erano troppo impacciati per farlo. 
                   
Più di 
trent’anni dopo, l’incontro, magico e meraviglioso, accade di nuovo. E 
scocca la scintilla della grande musica. Oggi di Leon Russell non si 
ricorda quasi più nessuno, è stato anche gravemente malato, il music biz
 lo ha lasciato indietro. Di Elton John invece ancora tutti, o quasi, si
 ricordano. Ed è proprio Sir Reginald, da sempre innamorato della musica
 dell’America più profonda e genuina (non pensate all’Elton John 
ridicolo e cocainomane degli anni 80 e 90, per favore; cercate di 
pensare a quello straordinario autore di canzoni formidabili che fu nei 
primi anni 70) che è andato a riscoprirlo e lo ha invitato a incidere un
 disco di purissimo country soul.
                  
                   
                   
                  
Si chiama “The Union”, 
l’unione, ed è un tuffo nel passato ma con la freschezza di chi ha 
ancora il cuore spalancato alle gioie della musica. Elton John, 
dicevamo: quello di dischi come “Tumbleweed Conenction”, “Madman Across 
the Water”, “Honky Chateau”, “Caribou”, tutti incisi in una manciata di 
pochissimi anni, tra il 1970 e il 1974. Opere dove la genialità di Elton
 John pescava nella musica dixie di New Orleans, nel folk, nel 
rock’n’roll primigenio, nel soul, nel gospel. E con “The Union” tutto 
questo torna mirabilmente alla superficie. 
                   
Accompagnati da un 
sontuoso coro gospel, da ospiti eccellenti come Neil Young e Brian 
Wilson, i due lasciano fluire una capacità di creare grandi canzoni 
ancora incredibilmente intatta. Non c’è più la giovanile esuberanza 
naturalmente (anche se la coda strumentale della trascinante Moneky Suit
 farebbe l'invidia a tanti giovinetti della musica d'oggi): entrambi 
over 60, offrono una serena meditazione su quello che la vita ha offerto
 e ancora ha da offrire. Fondamentale l’aiuto di un produttore 
eccezionale come T Bone Burnett, recentemente anche con Robert Plant. Su
 tutte la malinconica ballatona Gone to Shiloh, quella dove appare Neil 
Young. 
                  
                  
                   
                  
Una malinconia bellissima, autunnale, persa nello scorrere
 del tempo, per rievocare la pagina di una storica battaglia della 
guerra di Secessione. Altri ospiti che appaiono nel disco sono lo 
straordinario suonatore di “sacred pedal steel”, la pedal steel che si 
suona in chiesa, il nero Robert Randolph e nientemeno che il re del pop,
 mr Brian Wilson, il genio dietro ai Beach Boys. Ma anche l’eclettico 
chitarrista Marc Ribot,il tastierista Booker T e il batterista Jim 
Keltner. 
                   
Quello che fuoriesce è musica dalle mille sfumature, 
profondamente americana, soprattutto negli accenti gospel, ma mediata 
dalla attitudine pop di Elton John. Lui e Leon Russell si scambiano le 
parti, duettano sui tasti dei pianoforti e alle voci, creano canzoni 
solide come una quercia del vecchio Sud. In Eight Hundred Dollar Shoes 
Elton John si permette anche il lusso di citare “The winter of my 
discountent”, l’ultima novella di John Steinbeck - che a sua volta 
citava Shakespeare, peraltro - a dimostrazione di come questo disco sia 
un tributo a un’America che non c’è più. La stessa Gone to Shiloh, per 
musicalità e ambientazione lirica, ricorda i capolavori che incise un 
tempo The Band, il gruppo spalla di Bob Dylan, che cantavano appunto 
dell’America sbandata del dopo guerra civile. 
                   
Un disco che si 
apre con la bella If It Wasn’t For Bad, di Russell, e prosegue tra 
sonorità un po’ bluesy, un po’ da crooner (la bellissima When Love Is 
Dying che riaccende le luci di una New York al neon di fine degli anni 
40). Ci sono gli incalzanti rock’n’roll che grondano sentimento New 
Orleans (Monkey Suit), funk trascinanti come Hey Ahab, divertenti 
incursioni nell’honky tonk, e finanche il tributo alla leggenda della 
country music in Jimmie Rodger’s Dream. 
                   
E tanto altro come la 
commovente The Best Part of the Day, idealmente dedicata allo socmparso 
pianista di The Band, Richard Manuel. Fino al finale - da paura - di The
 Hands of Angels: solo Leon Russell, la sua voce, il suo pianoforte e un
 coro gospel che sembra essere quello dei santi dell’ultimo giorno e 
davvero le mani degli angeli sembra di toccarle. E si capisce allora il 
senso di parole come quelle che ha detto lo stesso Leon Russell a Elton 
John dopo avergli permesso di incidere insieme questo disco: “Grazie per
 avermi salvato la vita”.
                  
                  
                   
                   
                   | 
                 
              
              
              
              
              
              
              
              
              
              
              
              
              
                   
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  da  http://www.ilgiornale.it 
                   
                   
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                   Così Elton salva l’amico Russell, ex star che suona per due soldi
                   
				
	di Antonio Lodetti 
                   
                  Tramontato
 il mito di sesso droga e r’n’r, ora c’è chi fa buona musica per 
riconoscenza verso un vecchio idolo-amico che non se la passa troppo 
bene. Lo fa Elton John lanciando l’album Union insieme al glorioso e 
scombiccherato genio Leon Russell. Le due star l’hanno presentato dal 
vivo l’altro ieri al Beacon Theater di New York. Elton ha esordito 
dicendo: «Da giovane Leon era il mio idolo e mentore, volevo diventare 
come lui». Poi, in un trionfo di applausi, è arrivato Leon, lentamente, 
appoggiandosi ad un bastone. Una bella storia di riconoscenza. L’allievo
 che rilancia il maestro dopo quarant’anni. Il prode Elton lo conoscono 
tutti e non ha mai fatto nulla per passare inosservato; Leon è stato il 
cappellaio matto del rock. Oggi, a 68 anni, lo vedete panciuto e provato
 dalla vita ma dai lunghissimi capelli candidamente bianchi. Gli 
appassionati d’antan lo ricorderanno vigoroso polistrumentista, magro 
come un chiodo, con improbabili tube sulla testa, animare 
donchisciottesche avventure con Joe Cocker come Mad Dogs & The 
Englishmen, scrivere successi come Delta Lady (sempre per Cocker), 
colorire con piano e chitarra - ma non solo perché era una specie di 
direttore d’orchestra rock - i brani di John Lennon, Tina Turner, Bob 
Dylan, Frank Sinatra, Beach Boys e mille altri (lo trovate dappertutto, 
per esempio suona il piano nella celeberrima versione dei Byrds di Mr. 
Tambourine Man). 
                  Eminenza grigia del mondo rock, Russell ha stregato 
il pianista inglese fin dal 1970, quando Elton debuttò fragorosamente in
 America a Los Angeles, Leon era già quello da imitare. «Non 
sottolineerò mai abbastanza quanto sia stata importante l’influenza 
della musica di Leon su di me - dice Elton -; quando sono arrivato in 
America ero ossessionato da lui e lo guardavo come un dio. Nel secondo 
concerto al Troubadour lui era là in prima fila, per fortuna non me ne 
sono accorto fin quasi alla fine dello show, altrimenti mi sarei 
innervosito». «Andai ad ascoltarlo - sottolinea Russell - perché non 
esistevano cantanti soul bravi dopo i Righteous Brothers, e lui era 
incredibile». Poi l’incontro, la tournée insieme, e due strade che si 
biforcano, una verso il glamour e la gloria, l’altra verso l’impegno (ad
 esempio il Concerto per il Bangladesh con Harrison), entrambe verso gli
 eccessi. Ma Elton, 63 anni - nonostante crisi e guai che non si fa mai 
mancare - è sempre sulla cresta dell’onda. Leon Russell invece, una vita
 vissuta sulla corsia di sorpasso, rischiava di cadere nell’oblio. Un 
tempo riempiva il Madison Square Garden e le sale più prestigiose, oggi 
va in giro su un pullman scassato con la sua band e si esibisce in 
oscuri e selvaggi club della provincia americana, dove birra e whiskey 
scorrono a fiumi, come il Knuckleheads di Kansas City o il Tavern On the
 Maine a Wise, nel profondo Wisconsin. 
                  Elton non poteva permettere 
tutto ciò. L’anno scorso, mentre trascorreva il consueto capodanno in 
Africa, riascoltò un cd di Leon e scoppiò a piangere. Dopo qualche 
giorno gli telefonò dicendo semplicemente: «Facciamo un cd insieme?». 
Con lo stesso candore Leon rispose: «Ero a letto nella mia casa di 
Nashville e non avevo nulla da fare se non guardare la tv, dissi subito 
sì». Così è nato un cd - con la collaborazione tra gli altri di Neil 
Young, Brian Wilson, Marc Ribot - che con la forza dell’amicizia e 
dell’ispirazione ha superato qualunque avversità: anche la malattia di 
Russell che durante la registrazione è stato operato al cervello ma ora è
 di nuovo lì, che canta In the Hands of Angels mentre Elton si commuove.
 È un gran disco, che unisce i generi dribblando il pop di facile 
ascolto: «Qui non ci sono brani da classifica - puntualizza Elton - è un
 album per adulti. Una serie di brani di qualità che spero garantisca un
 futuro migliore a Leon; voglio che guadagni tanti soldi e che non debba
 più viaggiare cinque giorni la settimana per far sentire il suo rock a 
poca gente. Deve tornare una star conosciuta da tutti». Intanto la 
strana coppia è partita in tour, e Elton progetta già un cd con 
orchestra, brani degli anni ’50, lui al canto e Leon alla voce. Una 
storia da libro Cuore, e in più la qualità c’è, e tanta. 
                   
     
                  
                  
                   | 
                 
                
                   
                   
da http://blog.ilgiornale.it/giordano/2010/10...oba-da-giovani/ 
                   
                  Se la musica per vecchi è roba per giovani 
                   
di Paolo Giordano 
                   
No,
 no, di più non si può fare. Questo è un album suonato sostanzialmente 
dal vivo, con quel brivido che solo il frizzicare di un amplificatore 
acceso provoca in qualsiasi musicista. In questi, poi: Elton John ha 
perso il barocchismo stantio su cui si crogiola da un bel po’ (a parte 
nella manieristica When love is dying con troppo Bernie Taupin dentro). E
 Leon Russell, praticamente una leggenda e praticamente ormai un 
fantasma (visto che capelli bianchi e lunghi??), suona e canta come un 
esordiente, frenetico e vibrante e ben consapevole che la va o la spacca
 e lui, dopo esser stato sottobraccio quarant’anni fa a Jerry Lee Lewis e
 Bob Dylan, rischia di tornarsene a suonare in localetti scrostati tipo 
il Snail Pie Lounge di Glenville. Ecco, questa è la chiave di The Union:
 la resurrezione, la catarsi, il bisogno insomma di togliersi di dosso 
paure, rimorsi, condizionamenti, noia. Insomma, The Union è potente e 
libero perché se ne frega dei generi musicali e li mescola tutti, specie
 quelli nati di qua e di là dal Mississippi, il country, il gospel, 
naturalmente il soul e poi il rock’n’roll ma solo quello honky tonk, uh 
mamma mia, con la timbrica dei pianoforti verticali suonati dai pianisti
 spiegazzati nei saloon del Far West. E sembra proprio di entrarci con 
gli speroni ancora impolverati, mentre inizia l’incontenibile Hey ahab, 
che piacerebbe pure agli Allman Brothers, oppure quando il coro 
accompagna le voci di Hearts have turned to stone, con quel suono 
bruciante che solo dischi come Exile on main street dei Rolling Stones 
sono riusciti ad afferrare. Dai, se non è una gioia questa. E un po’ 
(solo un po’) del merito è del cast stellare che accompagna questi due 
sessantenni. Fosse un film, ci sarebbero Meryl Streep, Robert De Niro, 
Leonardo Di Caprio, Robert Redford, Al Pacino tutti insieme. Qui c’è un 
produttore favoloso, T Bone Burnett, strumentisti fuori dal comune come 
il geniale chitarrista Marc Ribot o il batterista Jim Keltner, in Gone 
to Shiloh canta anche Neil Young e Brian Wilson (dicesi Brian Wilson dei
 Beach Boys) fa i cori in When love is dying. E poi sì, poi basta. 
                   
                   
                   | 
                 
              
              
                   
                  da www.menstyle.it 
                   
                  
                  
                  
                  
                  
                  Elton John e Leon Russel: The Union 
                   
                   
di Carlo Mandelli 
                   
Incontro,
 o meglio unione, tra giganti della musica che se le suonano in note, ma
 allo stesso angolo del ring. L'incontro in questione è quello tra Sir. 
Elton John e Leon Russel, ovvero due mostri sacri della musica mondiale 
che per una volta hanno deciso di unire le forze e vestire i panni dei 
collaboratori per dare alle stampe The Union, fatica discografica 
firmata a quattro mani dai due artisti della musica suonata e cantata. 
L'album in questione è uscita il 26 ottobre. 
                   
A produrlo ci ha 
pensato il premio oscar T-Bone Burnett, che poi è lo stesso che negli 
scorsi anni ha messo mano alla produzione di altri duetti tanto inediti 
quanto di successo, su tutti quello tra Robert Plant ed Alison Krause 
per Raising Sand. Se per Elton John non sono necessarie presentazioni, è
 utile invece ricordare chi è Leon Russel, ovvero uno tra i nomi di 
culto del rock staunitense, barbuto cantante, musicista e compositore in
 attività dagli anni Sessanta e, per capirci, lo stesso che ha messo la 
firma su un pezzo come Stranger In A Strange Land, la stessa che poi è 
finita anche in un espisodio della serie tv Dr.House. 
                   
In realtà, i
 due si conoscono da un bel pezzo, esattamente dal 1970, quando Russel 
mise piede come musicista sul palco del primo tour americano del nuovo 
"socio" Elton. "Nei tardi 60 e primi 70 - ha raccontato a proposito 
l'autore di Rocket Man - il pianista e cantante che mi influenzò più di 
chiunque altro fu proprio Leon Russell. Era il mio idolo". 
                   
Per 
mettere su nastro le registrazioni del nuovo album, i due si sono 
ritrovati in studio, entrambi al pianoforte, pensando a una serie di 
brani che spaziano tra i generi, dal soul all'r'n'b, passando dal 
gospel, dal country, dal pop e fino al rock più classico. Tanti anche 
gli ospiti chiamati per l'occasione a mettere lo zampino tra una traccia
 e l'altra: tra i tanti ci sono anche Neil Young, Brian Wilson, 
l'organista Booker T. Jones, il chitarrista di steel Robert Randolph e 
un coro gospel al gran completo. 
                   
                   
                   | 
                 
              
                   
                  da www.ilfattoquotidiano.it 
                   
                  Elton John & Leon Russell: Unici & rari  
                   
di Sergio Mancinelli 
                   
                   
 “Grazie per avermi salvato la vita”. Con queste parole, guardandolo negli occhi il vecchio Leon Russell ha espresso a Elton John la sua gratitudine. 
                   
 Ma dietro a un’affermazione così forte e sincera c’è anche una 
reciproca mutualità. Elton John ha ridato speranza a Leon, non solo 
artistica, ma anche economica e di serenità e quest’ultimo ha ridato un 
senso alla musica di Elton John. 
                   
 Si erano conosciuti 40 anni fa. Leon Russell era all’apice della sua 
parabola, suonava nei dischi di Sinatra come in quelli dei Beach Boys, 
di Eric Clapton, come in quelli di Bob Dylan, accompagnava la voce di 
Joe Cocker e dirigeva il suono per il Concerto del Bangladesh di George 
Harrison. 
                   
 Elton John era appena sbarcato in America per cercare 
di dare avvio alla sua carriera in terra americana e doveva  aprire il 
concerto di Russell, di cui era grande ammiratore, al Fillmore East, il 
tempio rock di New York. 
                   
 Dopo quella sera non si erano più 
visti, nel frattempo Elton John ha venduto oltre 250 milioni di dischi, 
mentre Leon Russell è entrato nel cono d’ombra dei reduci del rock, fino a una mattina di pochi mesi fa. 
                   
Dal Sudafrica Elton John ha chiamato il “cappellaio pazzo
dell’Oklahoma” proponendogli di realizzare un disco
insieme. “40 anni fa ascoltandoti, ha esordito, hai dato un
senso alla mia musica, adesso è giunto il momento di ridare un
senso alla tua”. 
                   
 In sala di registrazione accompagnati dalle chitarre di Marc Ribot, la 
batteria di Jim Keltner e il basso di Don Was, praticamente il meglio 
del meglio, c’erano questi due pianoforti, uno di fronte all’altro e 
quattro mani. Due morbide, due ancora funamboliche inseguivano note su 
note. 
                   
 Ne è venuto fuori un disco: “The Union”
 che sa tanto di anni 70, un disco fatto in libertà e per il gusto di 
fare musica, due modi diversi di suonare, quello più gospel e soul di 
Russell e quello più pop ed europeo di Elton John. Un disco che più di 
“unione” sa tanto di “fusione”. 
                   
 In sala  tanti amici sono andati
 a trovarli, Dylan, Mc Cartney e Ringo, Brian Wilson e Neil Young che si
 è anche fermato a cantare questo pezzo, uno dei più intensi dell’album,
 tutto incentrato sulla più famosa battaglia della Guerra di Secessione. 
                   
                   
                   | 
                 
              
                  | 
                  
                  
                    
                  da /www.xtm.it 
                   
                  
                  
                  
																	
																		Elton John & Leon Russell
																	 
                   
                  
																		The Union
																	
																	
																	
																	
																	 
                   
2010
																	 
Mercury
																	 
																	 
																	Ivan Nossa
																 
                  
                  
                  
															
														
														
															
																
																	Circa un anno fa durante un safari in Africa Elton John ascolta dall’Ipod del suo compagno una canzone di Leon Russell,
 suo idolo negli anni ‘70 ed oggi pressoché dimenticato dal music 
business. Elton si emoziona profondamente e decide di telefonare a Leon,
 che si trova in condizioni disagiate sia economiche che di salute, e 
gli chiede “che ne dici di fare un disco assieme?”. Più o meno 
l’avventura è iniziata così,  telefona poi ad uno dei produttori che più
 ammira, T Bone Burnett, vincitore di infiniti premi ed 
anch’egli si dice entusiasta e pronto a partecipare. Questa 
collaborazione porta alla pubblicazione di “The Union” un album a due voci e due pianoforti. 
                   
                  Tutte le canzoni sono scritte da Elton, Leon e Bernie Taupin,
 storico paroliere di Elton, ed un paio con il contributo di T Bone 
Burnett. E’ un disco profondamente umano, vissuto, sudato. A tratti 
malinconico, a tratti romantico, a tratti incazzoso. La vita e le 
esperienze di due grandi musicisti sembrano esplodere in un disco che 
tira le somme di quella che è stata la loro storia personale e che ora 
sembra ritrovare voglia di vivere e sognare tra i tasti di ebano ed 
avorio.  Generi musicali diversi passano attraverso questo album, dal 
blues al soul, dal country al rock, dall’r&b al gospel. Le influenze
 del sud degli Stati uniti si percepiscono ovunque. Fondamentalmente è 
il disco di due pianisti che amano e vivono il loro strumento. Ogni 
canzoni ha una propria anima vibrante nata e cresciuta al pianoforte.  
                  Il disco viene registrato in presa diretta, con due pianoforti e un coro gospel di 10 elementi. Neil Young e Brian Wilson
 sono ospiti illustri. I brani migliori sono quelli dove Elton da libero
 sfogo al suo magistrale piano playing con ritmi rock e gospel. “Hey Ahab” è un pezzo trascinante, con un finale memorabile, e sulla stessa scia sono “Monkey Suit” e la straordinaria “There’s No Tomorrow”. Canzoni che vivono di voci gospel ed emozioni direttamente uscite dalla pancia. 
                  Altre sono molto più simili al repertorio più recente di Elton, la trasognante “The Best Part Of The Day” e “When Love Is Dying” sfoggiano armonie dolci e voci calde. “Gone To Shiloh” è una poesia in musica che ci riporta ai migliori testi di Bernie Taupin. Chiude l’album “In The Hands Of Angels” commovente brano del solo Leon scritto per ringraziare chi gli ha donato nuova vita riportandolo a suonare e comporre. 
                  Le
 due voci, sebbene molto diverse tra loro, si amalgamano perfettamente, 
profonda quella di Elton, tagliente quella di Leon. Due vecchi amici 
ricchi di storie da raccontare tra il piano bar e una chiesa del sud 
degli Stati Uniti. Sabbia del deserto che si appoggia su un vecchio 
pianoforte, voci che escono urlando dal delta del Mississippi. Questa è 
l’immagine che lascia il disco.  
                  Se avete la possibilità guardatevi i
 clip live su Youtube che rendono giustizia alle canzoni ed allo spirito
 con cui sono state create.  
                   
                  Il disco è bello, la produzione 
superba riesce a dargli una caratterizzazione unica. Attenzione: 
potrebbe non piacervi al primo ascolto, ma ad ogni ascolto successivo 
rischiate di innamorarvi di un disco, che seppur privo di novità, porta 
la musica che già conosciamo a livelli altissimi. Il debutto al 3° posto
 della classifica Billboard americana ci annuncia il successo di un 
disco molto atteso e di due artisti molto amati. Sicuramente la migliore
 musica di Elton da anni.     
                   
     
                   
                   | 
                 
                
                   
                  
                  da  http://www.chiesacattolica.it 
                   
di Franz Coriasco 
                   
                   
                  Amici
 fin dai primi anni ’70, Elton e Leon (quasi 130 anni in due…) hanno 
sfornato uno dei dischi più belli di questi ultimi tempi: tredici nuovi 
brani, vestiti di suoni antichi e sempiterni: blues e boogie, country e 
gospel. Un disco al di là del tempo e delle mode, inciso quasi dal vivo,
 prodotto da quel “moderno tradizionalista” che è T. Bone Burnette ed 
impreziosito da eminenze come Neil Young, il leggendario organista 
Booker T. Jones, e Brian Wilson. 
                  Da un tale ensemble non poteva che 
uscire un capolavoro di straordinaria energia, passione, classe e 
purezza: capace di dimostrare meglio di mille parole come la vera musica
 non abbia bisogno di chissà quali novità o effetti speciali per passare
 dalle orecchie al cuore. 
                   
                       
                   
                   | 
                 
                
                   
                  Onda Rock 
                   
                   
                  “The Union” meriterebbe il sottotitolo di “la 
classe operaia va in paradiso”; difatti Leon Russell è una delle 
storiche manovalanze del rock, un fantasioso e dotato polistrumentista, 
compositore e arrangiatore che ritorna sotto i riflettori grazie 
all'amico Elton John. 
                  Scoperto da Phil Spector, non mancò di onorare 
la sua fiducia con splendide intuizioni che resero immortali le 
performance di molti artisti come Joe Cocker (sua la celebre “Delta 
Lady”), Bob Dylan, Eric Clapton, B.B. King, Byrds, Frank Sinatra, Beach 
Boys, Badfinger etc, etc…. 
                   
                  Nonostante un grande successo (“A Song
 For You” inclusa nel suo primo album) e un eccellente album solista 
(“Carney”), la sua fama si eclissò; dopo oltre trent'anni, una 
telefonata di Elton John strappa il velo di abulia che aveva oppresso 
Leon e con l’aiuto di T-Bone Burnette prende corpo il progetto “The 
Union”. 
                  Nessuna operazione-nostalgia in queste sedici canzoni 
(quattordici nell’edizione retail), nessuna parodistica esibizione di 
cliché o luoghi comuni del rock, ma sedici canzoni dalla scrittura 
intensa e raffinata, tra pianoforti piroettanti ricchi di ritmo e brio, 
con robuste atmosfere country blues imbrunite da cori gospel e 
performance strumentali di grande ingegno (Marc Ribot, Jim Keltner, Jay 
Bellerose). 
                  Un nugolo di preziosi ospiti (Booker T. Jones, Neil 
Young, Brian Wilson, Don Was) contribuisce a rendere “The Union” non 
solo uno dei migliori album di Elton John e Leon Russell, ma anche uno 
dei migliori album degli ultimi tempi. 
                   
                  "The Union" non è un atto 
di riconciliazione con il pubblico, è invece un vero pugno nel cuore, un
 coacervo di intensa musicalità che raramente si associa ai vecchi 
protagonisti della epoca d'oro del rock. 
                  Sedici delizie, a partire da
 “Jimmie Rodgers’ Dream”, un puro country alla “Tumbleweed Connection” 
reso ancor più incisivo dal delizioso duetto vocale e dalla splendente 
steel-guitar di Russ Pahl; eccelle anche “Hey Abab”, vigoroso 
rock'n'roll che rende esplicito il debito artistico di Elton per Leon, 
con la voce di Reginald che si tinge di scuro mentre la musica rinnova 
il sex-appeal artistico di Russell con un grintoso mix di gospel, 
rock’n’roll e blues che sfiora l'estasi da jam-session. 
                  Il timore che
 l’album crolli nei momenti più romantici viene soppresso dalle note di 
“When Love Is Dying”, che reclama lo status di instant classic e gode 
dei vocalizzi di Brian Wilson, ma ancor di più stupisce e incanta “Gone 
To Shiloh”, una delle più belle canzoni scritte da Elton John in tutta 
la sua carriera, un malinconico blues sulla guerra civile americana 
cantato a tre voci con Neil Young: l’atmosfera drammatica non concede 
tregua emotiva, l’incedere solenne e un intenso corpo armonico, 
raccontano con acuta sincerità l’America dei losers, delle strade di New
 Orleans, dei piccolo eroi quotidiani che animavano le canzoni della 
Band. 
                  Non va dimenticato il prezioso contributo del produttore T-Bone
 Burnett, la sua passione per un suono puro e naturale fa vibrare anche 
le ballad dai confini più prevedibili, come il flusso gospel-pop di 
“There’s No Tomorrow” e il romanticismo alla Taupin-John di “Eight 
Hundred Dollar Shoes”, ma è innegabilmente il suono orchestrato da 
T-Bone Burnette che tira fuori l’anima boogie-woogie di “Monkey Suit”, 
incalzante e robusto rock alla Rolling Stones, ed estrae altresì il 
corpo funky-New Orleans di “If It Wasn’t For Bad”, rendendo poi 
policromo lo splendido tocco shuffle della contagiosa e irrefrenabile “A
 Dream Come True”. 
                   
                  La genesi dell'album è molto stimolante e 
interessante, l'affiatamento tra i due musicisti e il produttore T-Bone 
Burnett ha spinto Elton e Leon a registrare gran parte dell'album live 
in studio, recuperando le sonorità e l'ispirazione che ha reso celebri 
le due star del rock. 
                  Suona perciò ancor più corposo e palpitante il 
mix di basso (Don Was) e fiati nel festoso country-blues "Hearts Have 
Turned To Stone" - scritto dal solo Leon Russell - dove i cori e 
l'organo di Booker T. Jones profumano di riscatto storico e culturale. 
                  Tra
 ceneri e spettri, si snoda il gospel funebre "There’s No Tomorrow", che
 prende spunto da un brano di James Timothy Shaw del 1966 (Hymn N°5) e 
archivia un'altro trionfo dei due pianisti, che fanno vibrare le loro 
voci all'unisono in uno splendido gospel-blues, rendendo difficile per 
l'ascoltatore coglierne le peculiari differenze vocali. 
                  Mentre "The 
Best Part Of The Day" scivola con classe e senza brividi, "I Should Have
 Sent Roses" colpisce per la grazia da romanza spalmata su strali di 
soul alla Stax e per l'interpretazione svogliata e nostalgica di Leon 
Russell. 
                  Con la stessa leggiadria e indolenza si distende "In The 
Hands Of Angels", il cui impianto emozionale è integralmente sorretto 
dal piano. 
                   
                  Due tracce sono state sacrificate per l'edizione 
retail dell'album (mentre sono presenti nella versione cd+dvd e in 
quella in vinile): il primo " My Kind Of Hell" è un divertente 
gospel-boogie mentre il secondo "Mandalay Again" è un altro gioiellino 
country-pop, armonico e solare come l'amicizia dei due protagonisti. 
                  Last
 but not least, "Never Too Old (To Hold Somebody)", ovvero il brano 
perfetto per immedesimarsi in quest'album; punto di partenza della 
collaborazione tra i due musicisti, raccorda tutti gli elementi che 
caratterizzano l'album: la forza, la disperazione e l'incanto. 
                  Sedici
 brani che fondono country,gospel, rock e blues, sfidando la 
prevedibilità stilistica con un feeling straordinario, "The Union" non è
 solo un buon album, ma un trionfo della genialità di due vecchie anime 
del rock. 
                   
                  (25/11/2010) 
                   
                   | 
                 
              
              
                   
                  
                  dal Corriere Della Sera del 14/11/10 
                   
                  Elton John e Leo Russell con lo spirito degli anni 70 
                   
                  di Mario Luzzato Fegiz 
                   
                  Si
 sono conosciuti negli anni 70, poi le loro strade si sono divise. Elton
 John è diventato una star internazionale, Leon Russell è rimasto 
artista di culto e ha lavorato come autore e session-man (fra gli altri 
con Joe Cocker, Rolling Stones ed Eric Clapton). Il risultato è un disco
 in cui Elton mette da parte le melodie patinate e recupera un amore per
 la tradizione musicale americana. C'è il gospel, il soul, il r&b, 
il sound evoca lo spirito degli anni Settanta, con quella gioia di 
improvvisare e far nascere le canzoni scambiandosi idee e intuizioni. I 
brani hanno un andamento lento per poi crescere nel finale. Gone To Shiloh
 vede la partecipazione di Neil Young. Il contrasto fra le loro diverse 
voci e l'impasto delle parti di piano ne fanno un disco unico e senza 
tempo. 
                   
                   
                   | 
                 
              
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
             
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
             
             
             
             | 
           
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
      
       
       |