logo
indice alfabetico - site map  I  immagini  I  articoli  I  elton in italy  I  testi in italiano  I  musicians & co.  I  concerti  I  discografia
 
forum  I  news   I  biografia  I  early days  I  friends I links  I  aggiornamenti  I  newsletter  I  contatti  I  varie  I  rarità  I  home
recensioni dei fans

RECENSIONI DEI VISITATORI

Jump Up!
 

Jump Up!

inviate la vostra recensione di un disco di Elton e sarà pubblicata in questa sezione.
non preoccupatevi, non cerchiamo critici professionisti, ma le impressioni, positive o negative, dei fans!


 

 

di Andrea Ganzerla (2004)

L’album Jump up fu registrato presso l’isola di Montserrat e remixato a Parigi e uscì nell’aprile 1982. 

La promozione dell’album fu sostenuta anche da un tour che toccò in primavera l’Europa, in estate l’America e culminò in una nutrita serie di date britanniche.
Prima della pubblicazione dell’album ci furnono anche delle date in marzo tenutosi in Australia e Nuova Zelanda. Il 9 Febbraio 1982 fu registrata presso gli studi di Montserrat di proprietà di George Martin(il grande produttore dei Beatles) Blue Eyes. Il brano fu pubblicato come singolo (il lato b era occupato da una movimentata “Hey papa Legba”) il 12 Marzo 1982 e entrò nella Top 10 inglese raggiungendo in poco tempo l’ottava posizione e arrivò 12mo negli USA. Il disco fu prodotto da Chris Thomas che aveva lavorato e prodotto anche The Fox, e che agli esordi prima di diventare produttore di fama mondiale aveva lavorato anche con i Pink Floyd nel celebre “Dark side of the moon”. L’album si apre con un allegro brano rock n’ roll “Dear John”; brano che trasmette sicuramente energia e allegria. Questo brano fu eseguito spesso nei concerti che Elton tenne nel 1982 ma non fu più riproposto dal vivo (buone le versioni live a Saratoga e a Kansas City). La canzone più modesta dell’album è secondo me Spiteful Child; una canzoncina pop che passa abbastanza innoservata. Abbastanza incolore risulta essere anche Ball & Chain nonostante una guest star incredibile. Ospite d’eccezione dell’album fu il mitico chitarrista degli Who Pete Townshend che suonò la chitarra acustica in Ball and chain(di questa canzone circola anche tra i collezionista un video promozionale nel quale non si vede Pete Townshend ma si vedono i componenti storici della E. J. Band ossia Dee Murray, Davey Johnstone e Nigel Olsson). Bisogna dire che nonostante la presenza di Townshend (un attento ascoltatore però può riconoscere il suo tocco nonostante lui sia principalmente un chitarrista elettrico) il brano sicuramente non passerà alla storia e nel complesso risulta essere a mio avviso un po’ banale. Il chitarrista collaborò con Elton anche nel 1988 dove suonò in Town of Plenty; contenuta nell’album Reg Strikes Back. Elton invece a sua volta collaborò con gli Who; prese parte infatti al Film Tommy(diretto da Ken Rusell) e reincise la mitica Pinball Wizard per l’omonima colonna sonora uscita nel 1975. Il 24 Agosto 1989 inoltre Elton partecipò con gli Who e altri artisti (Phil Collins, B. Idol, Patti Labelle, S. Winwood ecc.) a una riedizione live di Tommy dove interpretò sempre Pinball Wizard. Un brano forse sottovalutato ma molto bello è Legal boys. Le liriche di questa canzone furono scritte dal talentuoso Tim Rice(che collaborò poi con Elton anche in altri progetti: The Lion King e Aida); ma ciò che immediatamente colpisce quando si ascolta questo brano è il meraviglioso arrangiamento orchestrale. Molto bella sia per il ritmo sia per i violini di accompagnamento è Where all good times gone; ricordiamo che i conduttori dell’orchestra erano James Newton Howard che ora è un grandissimo compositore di colonne sonore e Gavin Wright (anche lui molto famoso per collaborazioni illustri). E’ una canzone che ci rimanda agli anni 70 che mi ha sempre colpito sia per il sound sia per il testo. Di questo brano esiste anche una bella versione più rock(uscita solo come B-side).
Nel Novembre 1982 uscì anche una edizione limitata con poster di All Quiet on the western Front/Where have all the good times gone; 45 giri sempre edito dalla Rocket. Dall’album Jump up furono estratti ben 4 singoli:  Blue Eyes, Empty Garden, Princess, All Quiet on the Western front. Questi dischi uscirono solo nella versione da 7” e non nella versione da 12”. Altri ospiti illustri dell’album sono due batteristi illustri che si sono guadagnati giustamente una ottima reputazione anche come session men: Jeffrey Porcaro (storico batterista dei Toto) e Steve Holly (che collaborò con Paul Mc Cartney e che fu il batterista nel suo Back to the Egg del 1979). La vera hit di tutto l’album è la struggente Blue Eyes che fu anche un notevole successo commerciale ed è sempre stato uno dei più famosi singoli di Elton. Anche di questo brano fu realizzato un videoclip incluso recentemente anche nel Dvd The very best of Elton John pubblicato e mal distribuito dalla Universal. Nonostante le liriche modeste di Gary Osborne questo brano era pressochè perfetto ed è suonato magnificamente. I magnifici cori di tutto l’album sono opera di Dee Murray e dello stesso Elton. L’unico chitarrista di tutto il disco è l’ottimo Richie Zito che aveva accompagnato Elton anche nel tour del 1980(culminato nell’indimenticabile Live in Central Park). L’ottimo Richie Zito collaborò con diversi artisti internazionali e nel 1986 suonò e produsse la celebre “You can leave your hat on” interpretata da Joe Cocker(uscita sia come singolo e sia nell’Album “Cocker).
Bisogna ricordare che Jump up contiene anche la struggente Empty Garden (“giardino vuoto” visto che l’appartamento preferito di Lennon si affacciava sul verde del Central Park di New York) dedicata al grande John Lennon e le cui liriche furuno scritte da Taupin. Sia Elton sia Bernie erano due grandi fan di Lennon e anche il paroliere si unì ai ragazzi della Band e a Lennon nella memorabile serata del 28 Novembre 1974 dove l’ex Beatle fu ospite di Elton. Brano molto toccante dal vivo fu eseguita anche nel 1982 al Madison Square Garden di N. York ; l’esecuzione fu accompagnata dai sentiti applausi del pubblico. In questo brano emerge il talento di Bernie Taupin che firmò metà dei brani contenuti nell’album. I brani di Jump Up eseguiti dal vivo sono principalmente Blue Eyes e Empty Garden mentre le altre canzoni furono eseguite solo nell’ormai lontano 1982 (mi riferisco a Dear John, Ball & Chain, Where have all the good.., All quiet on the western front. Altro brano abbastanza banale contenuto nell’album è “I am your robot”; il ritmo è abbastanza trascinante, le chitarre elettriche abbastanza accattivanti ma nel complesso non è certo uno dei suoi brani migliori. Il design dell’LP è abbastanza carino e fu realizzato dal solito David Costa (che ancora oggi cura per la Wherefore Art? molti artwork di diversi cd). All’interno del booklet si possono trovare foto differenti: parlo della vecchia edizione su vinile della prima versione uscita su CD e della nuova edizione uscita nel 2003 e remixata digitalmente (che consiglio vivamente solo allo zoccolo duro; non contiene infatti nessuna bonus track anche se il suono del basso e i coretti di Dee Murray talvolta sembrano magici). Altre due ballate contenute in Jump Up sono Princess scritta da Gary Osborne e la ballata finale dell’album “All quiet on the Western Front” che aveva lo stesso titolo di una novella contro la guerra del 1929 scritta da Erich Maria Remarque.
Per concludere secondo me “Jump Up!” fu un importante album sia perché conteneva le bellissime Blue Eyes e Empty Garden sia perché segnò ormai il definitivo ritorno della collaborazione John-Taupin. Da segnalare infine che uno dei concerti tenutosi all’Hammersmith Odeon di Londra fu trasmesso dalla BBC e che la band che accompagnò Elton dal vivo nell’82 era la band storica con Nigel, Davey e Dee. Da citare infine altre due canzoni incise nelle session di Jump Up ma pubblicate solo come lati B di Princess e Empty Garden: Take me don to the ocean (uscita anche nella colonna sonora del film Summer Lovers) e la bella The retreat pubblicata poi giustamente nel box antologico To be continued del 1990.



di Giorgia Turnone  (gennaio 2010)

40 (+1) anni d’ispirazione -

1982: dov’e’ elton john?


Non è più lo stesso sorriso. Di facciata, al suo pubblico, nelle interviste. Non si vede la gioia, la freschezza, la spontaneità. Perché possono esserci mille motivi per spiegare la deprimente flessione della musica che è stata l’unica ascoltata per 10 anni. Motivi che possono essere opinabili, ma uno di sicuro no. Elton John, appunto. Che fine ha fatto il pianista tutto genio per il quale il pubblico impazziva? Cosa sta succedendo a questo uomo che in passato si metteva al pianoforte, in conservatorio, e capiva tutto prima degli altri? Dove è finito quell’occhialuto che in studio era cuore e cervello, genio e sregolatezza, elegante e cafone, musucista d’élite e commerciale, il pianista incredibile? Non sono domande figlie di questo album, tutto sommato sulla sufficienza (c’è di peggio, suvvia). Fosse così, sarebbero pretestuose, ingiuste e fuori tempo. Sono, al contrario, domande che rappresentano l’inevitabile e naturale conseguenza di un Elton John che da tempo, troppo tempo, non riesce a comporre e incantare come può e sa. E il problema è solo di album, nel senso che poi quando il genio va sul palco spesso e volentieri lo si vede tornare il migliore performer live a cui si erano abituati negli anni scorsi.
Questo Elton, in studio, non si vede da tempo. Sono i suoi occhi, nei post- concerto, a certificarlo in maniera inconfutabile, occhi tristi, dipendenti, che dicono come per lui in questo momento sia meglio non parlare, altrimenti sarebbe costretto a raccontare qualche bugia. Dunque, cosa gli sta succedendo? In una mondo come quello della musica, arricchito (o inquinato, fate voi) dall’enorme successo, dove la chiacchiera di bocca in bocca trasforma una porta in un portone, una fessura in una voragine, un granello di sabbia in un macigno, c’è chi risponde con frasi scomode, pettegolezzi e… sì, anche “cattiverie” che sono accompagnate dalla sempre fastidiosa dicitura “si dice che il John…”. Sarebbe perlomeno ingiusto nei confronti di un uomo che ci ha sempre messo la faccia, che è sempre stato se stesso, che ha avuto un’etica del lavoro al di sopra di ogni sospetto e che da quando ha iniziato la carriera è andato avanti a quasi due album all’anno, sempre e comunque, pure quando non sarebbe stato il caso.

Certo, una brusca separazione professionale e le enormi dipendenze gli hanno fatto scoprire il lato oscuro della vita, il “bad side of the moon”, e su un ragazzo che ha sempre vissuto con la gioia come pelle, questo non poteva che ripercuotersi anche nel suo rendimento in studio.
Il motivo per il quale Elton John sembra un corpo estraneo, ma non solo alla musica, alla sua musica, è quindi da ricercare soprattutto in difficoltà personali, ambientali, che il pianista fa fatica a comprendere ed accettare. Il genio di Pinner vive in prima persona il calo (non troppo rilevante, per la verità) delle vendite e il mutato pensiero che la critica esprime nei suoi confronti, così come una realtà che da un paio d’anni a questa parte gli ha fatto toccare con mano che il progetto e il futuro, a meno di colpi di scena, non è che potranno cancellare un presente anonimo e senza prospettive. Ormai, ha dato il meglio di se e non capisce come possa tornare indietro e riconquistare l’amore di quei fans che gli hanno voltato le spalle appena scoperta la sua tendenza bisessuale, o la stima di ogni critico che solo fino a qualche anno prima lo decantavano fino all’esaurimento nervoso. Un amante sedotto e abbandonato.
Ecco, le prospettive sono il pensiero che nella testa di John è fisso e non trova risposte. Facile, non trovare risposte. Per il semplice fatto che non ce ne sono. Non esistono. Sente parlare di un declino, lui non ci crede e vuole dimostrare di essere ancora carico. Vede le immagini del nuovo, ipotetico, concerto, bellissimo, ma si domanda pure quale pianista ci arriverà a suonare. E quale (quanto) pubblico ancora avrà.

E’ felice che tutto sommato le vendite non siano precipitate del tutto, con il singolo Blue Eyes che tiene ancora vivo questo bilancio, ma sa anche che la stessa cosa succede agli emergenti, che compongono solo per questo scopo, che non cercano la perfezione stilistica né un suono pulito e degno di essere chiamato tale. Lui no, non vuole essere come loro, lui è diverso, lui è Elton John. Forse, però, è qui che pecca. Prima di essere Elton John, lui è Reggie Dwight. Quando la semplicità è virtù invisibile agli occhi, specie se barrati da soldi, fama e gloria.
E poi, una componente fondamentale: questo album è stato scritto assieme a due parolieri. Osborne e… Taupin. Vede i testi che gli si presentano davanti: un po’ (troppo) incolori quelli di Gary. Mentre constata che Bernie fa… il Bernie, ma sa anche che ormai non è più solo il “suo” paroliere. E’ solo una (s)comoda costante. Quindi.
Quale futuro lo aspetta?
Cerca una risposta, ma l’unica che trova, lo spaventa.




di Stefano Orsenigo  2012

Il titolo è fuorviante, la copertina simpaticamente anni 80: ma Jump Up! non è un album dance, è un consueto disco da Elton John, solo un po’ più mosso del solito.
La prima volta di Chris Thomas (dopo la produzione parziale di The Fox) è anche la migliore, ma con una band simile era impossibile far male: Jeff Porcaro alla batteria, Richie Zito alle chitarre, Dee Murray al basso e James Newton Howard che si occupa di archi e tastiere. Forse per merito di questo suono particolarmente robusto e scoppiettante, ai primi tempi il disco mi piaceva assai; purtroppo col tempo l’ho svalutato, lo rovinano in parte troppe canzonette facili e radiofoniche alla ricerca (ancor vana) della classifica perduta.
Dear John per dirne una, dove ritmo frizzante e gustosa autoironia mascherano un pugno di accordi ripetuti all‘usura; o Ball & chain, il più modesto tra i tanti country veloci del repertorio. Decisamente meglio Spiteful child e soprattutto la nervosa ballad Legal boys, prima e più bella collaborazione con Tim Rice.
Gli altri parolieri danno il peggio, Taupin con I am your robot e Osborne con Princess: al testo della prima Elton fornisce un ritornello altrettanto imbarazzante, nell’altra (scritta per Lady Diana ma già dimenticata ben prima che arrivasse la Candle in the wind funebre) le note sono gradevolmente prevedibili quanto le strofe.
Bernie comunque si riscatta con Empty garden (Hey hey Johnny), dedicata alla memoria di John Lennon, e con All quiet on the western front ispirata all’omonimo romanzo antimilitarista, due melodie commoventi interpretate in modo superbo.
Tra le cose belle aggiungo la hit Blue eyes, per il bel vestito orchestrale e un romantico tono da crooner alla Sinatra che il buon Elton non si è mai più degnato di replicare; infine la mia preferita Where have all the good times gone?, magnifica sia come album version (arrangiata con archi) sia in versione B-side velocizzata ed elettrica.
I bei tempi sono andati e non torneranno più, ma resta il buon mestiere e qualche sprazzo di talento: troppo poco per farne un grande album, troppo per condannarlo all'oblio.

Voto 6,5



di The Bridge   2012

Di tutti gli album dell' Elton anni 80, questo "Jump Up!" fu quello che più mi conquistò al primo ascolto: già questo fatto, a mio parere, ne indica pregi e difetti.
Infatti è un prodotto allegro, frizzante, grintoso: tutto l'opposto del quasi funebre, ma ben più "sentito", immediatamente precedente "The Fox". Solo che quest'ultimo ha un substrato, ha fondamenta, ha anima. L'album eltoniano del 1982, invece, scade già al decimo ascolto: comincia ad apparire banale, scialbo, troppo semplicistico e orecchiabile. Si avvicina, insomma, a quel "21 at 33" di due anni prima, col quale Elton comunque un qualche risultato commerciale lo aveva ottenuto. E difatti con questo "Jump Up!" le vendite cominciano a risollevarsi. Per il resto l'album indica già precisamente quella che sarà la nuova tendenza eltoniana degli anni 80: tornare alla ribalta con musica più facile, più commerciale, più alla moda. Per il momento la direzione è solo avviata: c'è una buona dose di grinta, ottime interpretazioni e qualche incursione nel sound alla Sinatra (l'hit single "Blue Eyes", dal testo idiota e dalle musiche talmente crooner da farmela detestare al quindicesimo ascolto:paradossalmente il brano di maggior successo di un album alla moda è proprio uno smaccato rimpasto anni 50). Gli altri brani sono nel complesso attorno alla sufficienza, anche se è l'interpretazione robusta di Elton a risollevarli da una certa mediocrità compositiva: con l'eccezione della splendida "Empty Garden", omaggio a John Lennon, che riunisce in un amalgama particolare un testo in stato di grazia di Taupin con una bellissima, commovente melodia di Elton. Si tratta, probabilmente, dell'unico, vero brano personale dell'album: non sorprende, quindi, che ne risulti il risultato migliore. In definitiva, con "Jump Up!" Elton volta definitivamente pagina ed abbandona l'irrequietezza decisionale ( "e adesso, che faccio?") del quinquennio precedente. Ora Elton ha deciso la via da intraprendere; resta da dimostare se questa risulterà, nel lungo periodo, la scelta giusta. Nel breve, probabilmente, sì.